Psichiatri che non prescrivono farmaci ! !

In tutta Italia sono cercati e ricercati psichiatri che non usano psicofarmaci, e /o o aiutano a dismettere i farmaci a chi li prende. Di fatto non se ne trova nessuno, in nessuna parte d'Italia, subito disposti in tal senso. I pochissimi che acconsentono a dismettere i farmaci, lo fanno solo dopo anni che ti conosce personalmente e che sei in cura da loro ed insisti ed insisti. Di regola chi capita sotto qualsiasi psichiatra è mantenuto sotto farmaci a vita (vedi "Psichiatri miopi burocrati paurosi" - e sono sempre farmaci debilitanti e danneggianti, mai curanti!

Ma qualche mosca bianchissima esiste. Oltre a Giorgio Antonucci, oramai in pensione da anni, si è reso molto noto recentemente Mariano Loiacono, psichiatra responsabile di reparto psichiatrico statale a Foggia.

Così da un paio di anni c'è una vera processione di familiari e 'pazienti' (sia psichiatrici che con problemi di assuefazione ad alcool o a droghe pesanti) che da tutta Italia vanno a Foggia a consultare e a rimanere in cura nelle strutture (statali) organizzate dal dott. Mariano Loiacono. Il dott. Mariano Loiacono da decenni dirige a Foggia un reparto psichiatrico statale con metodi non di psichiatria tradizionale. La sua iniziativa è proliferata in sitazioni in parte autogestite da collaboratori volontari, pazienti, familiari.

Degli ex-utenti romani hanno organizzato a Roma un Incontro-Congresso pubblico, il 9 maggio 2009 presso l'ex Mattatoio, chiamando appunto tali psichiatri - quelli pubblicamente noti - a intervenire quali relatori. Erano i dottori specialisti in psichiatria Mariano Loiacono (Foggia) [non intervenuto di persona, ha inviati i suoi collaboratori Cristiano Ceglie - Vincenzo De Caro - Gaetano Pascolla], il dott. Luigi Anapeta (psichiatra autocritico in Roma), Giorgio Antonucci (Firenze) [non intervenuto per problemi personali] e anche Giuseppe Bucalo quale organizzatore di attività non-psichiatriche.

Il dott. prof. Mariano Loiacono ha creato negli anni un suo metodo - "Metodo alla Salute"- in parte replicato in Italia ad Ancona , e fuori Italia.., vedi . Il suo metodo è sostanzialmente prima di tutto basato, come già quello di Giorgio Antonucci, sul non fondarsi su gnoseologie psichiatriche tradizionali (diagnosi, cure, ..) ma sull'aver fiducia nel paziente, lasciargli autonomia di pensiero, non considerarlo malato. In più rispetto all'approccio prevalentemente a due di Antonucci, il prof. Loiacono attua sistematicamente una terapia di gruppo, gruppi preferibilmente misti di più familiari e più pazienti, in cui ora l'uno ora l'altro si mettono in discussione; ma questi gruppi non solo fanno discussione : c'è anche contemporaneamente una terapia di gruppo corporea - danza, azioni teatrali, .. -. Questi gruppi non comprendono solo pazienti psichiatrici, anche assuntori di alcol e sostanze proibite. [Vedi comunque qualcosa dal nuovo sito web http://www.nuovaspecie.com e meglio ancora visualizza alcuni filmati esistenti -- segnaliamo quello conferenza/ inchiesta http://www.nuovaspecie.com/IT/files/video.php?ID=4 da cui risulta un po' meglio la personalità e l'azione di Mariano Loiacono, più di quanto non faccia le sue pubblicazioni e il suo sito web - un pò troppo rutilanti di iniziative e progetti , caleidoscopici e pirotecnici - nella realtà abbastanza attenti e concreti. ...

Il metodo ottiene risultati, ha quindi riscosso successo e notorietà, cosicché come dicevamo da a un paio di anni c'è una vera processione di familiari e 'pazienti' (sia psichiatrici che con problemi di assuefazione a droghe pesanti) che da tutta Italia vanno a Foggia a consultare il dott. Mariano Loiacono ed alcuni a trattenetrsi qualche mese per partecipare ai gruppi e alle iniziative (basta l'impegnativa medica e il tesserino sanitario, si paga il ticket sanitario di 32 Eu al mese, ma per il soggiorno ci si deve arrangaire da soli; è stata attivata una specie di pensione in parte autogestita ..)

Il dott. Luigi Anepeta, neuropsichiatra in Roma, attivo dai tempi di Franco Basaglia, ha constatato un rapido affossamento delle prospettive e speranze di Basaglia e della psichiatria basagliana, già al passare dagli anni '70 agli anni '80. Da allora attua una sua critica un pò defilata e solitaria alla trionfante psichiatria, con qualche libro e ora con un sito web http://www.nilalienum.it/


Il Congresso di Roma detto è stato organizzato dal "Gruppo romano di ricerca per le alternative psichiatriche <grrapa@yahoo.it>
Giorgio Antonucci non ha potuto partecipare, Mariano Loiacono ha inviato suoi collaboratori. Luigi Anapeta e Giuseppe Bucalo c'erano di persona.

Ecco un resoconto fatto da Paola Eulalia <eulalia1967@gmail.com> degli interventi del dott Anepeta e dei collaboratori di Loiacono :

9 MAGGIO 2009

RELATORI:
Dr. Luigi ANEPETA, NEUROPSICHIATRA E PSICANALISTA A ROMA
Per il “MEDODO ALLA SALUTE” DEL DOTTOR MARIANO LOIACONO, PSICHIATRA A FOGGIA:
- Cristiano CEGLIE
- Vincenzo DE CARO
- Gaetano PASCOLLA
Giuseppe BUCALO, ASSISTENTE SOCIALE A GIARDINI NAXOS

Relazione del Dr. Luigi ANEPETA
(vedi anche http://www.nilalienum.it/ )

Significativo il luogo del convegno, il mattatoio dove Ugo Cerletti in collaborazione con Lucio Bini prese lo spunto nel 1938 per inventare l’elettroshock (detto ora in termini medici Terapia elettroconvulsivante) che a quel tempo veniva praticato sugli animali prima del macello.
Il panorama delle pratiche ufficiali della psichiatria è attualmente molto frammentato.
Per inquadrarle, prima descrivo la mia esperienza.
Sono un neuropsichiatra psicoanalista uscito nel 1981 dal sistema pubblico perché sapevo che la 180 sarebbe stata una vittoria di Pirro.
Il problema era lo spostamento a livello territoriale dell’assistenza psichiatrica. Questo infatti rappresentava un’enorme occasione per l’industria farmaceutica, fatto puntualmente accaduto: c’è stata la colonizzazione dell’industria farmaceutica del campo psichiatrico.
Il problema è che Basaglia non voleva interpretare il disagio psichico.
La psichiatria si fonda sul principio della malattia. Basaglia diceva che il disagio psichico era un fenomeno sociale. Ma così dicendo, mandava un messaggio che era incomprensibile per il senso comune.
Quindi io mi sono impegnato a costruire un modello psicopatologico di interpretazione della malattia mentale, che ha costituito una ricerca che è approdata a un pensiero che adesso è anche una scuola.
La ricerca la feci a suo tempo nel leggere tutta la letteratura per capire come in quegli anni ’80 si riorganizzava la psichiatria dopo il movimento antipsichiatrico degli anni ’70. Ci fu di fatto una restaurazione operata dalla psichiatria ufficiale. Le conclusioni di quel lavoro di ricerca sono a mio parere ancora valide.
Di fatto, il cambiamento avvenuto negli anni ’80 nella psichiatria, andava di pari passo con quello che avveniva in politica, dove iniziava il fenomeno del neoliberismo.
La psichiatria in primo luogo eliminò il confine, fino a quel momento esistente, tra psicosi e nevrosi, attraverso ricerche sponsorizzate dall’industria farmaceutica, e si giunse a classificare tutte le malattie come di origine biologica, dandogli anche uno status nuovo, non più di malattia propriamente detta ma di disturbo.
Il disturbo mentale quindi era considerato sempre di origine genetica, un malfunzionamento biochimico.
Nel 1985, si introdusse il concetto di vulnerabilità genetica, cioè se un individuo ammala è perché è presente una predisposizione genetica.
Ma su quale potere si fonda l’egemonia della psichiatria?
È un potere mutuato dalla medicina, ancora oggi la psichiatria si definisce una branca della medicina.
Il problema è che la fiducia negli psichiatri in quanto medici è malriposta. Il medico può fare 6 anni di corso di laurea senza fare nemmeno un solo esame che abbia a che fare con la psichiatria o con la psicologia.
Poi ci vuole la raccomandazione per entrare nel corso di specializzazione quadriennale in psichiatria, nel quale si impara qualcosa sui farmaci principali e si frequenta qualche clinica o ospedale e nulla più, non si apprende nessuna teoria.
Lo psichiatra è un ignorante, non uno che ha le chiavi degli abissi della mente.
Quella della legge Basaglia è una vittoria dell’Italia unica nei confronti del mondo, che ci invidiano tutti i paesi anche molto più civilizzati del nostro, ma la nuova cultura che avrebbe dovuto crearsi sui concetti di normalità e malattia non c’è ancora. Nelle comunità basagliane si fa sempre uso di farmaci perché non c’è un modello alternativo di cura. Per i basagliani la malattia mentale non va teorizzata, bisogna “convivere con la malattia”. Nel 2008 i basagliani, in occasione delle celebrazioni del trentennale della promulgazione della legge, ripetevano ancora che la malattia mentale è un evento comune a tutti è che l’unico rimedio è viverlo. E si è continuato a insistere con la retorica insopportabile della socioterapia come panacea. Ma si tratta essenzialmente di una forzatura. La socializzazione forzata non è una terapia.
La sofferenza psichica è un dato oggettivo, ed è anche un’epidemia sociale. Secondo uno studio dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) del 2006, la depressione nel 2020 sarà la malattia al mondo più diffusa dopo quelle cardiovascolari.
Riconducendosi alla tradizione antipsichiatrica degli anni ’70, la metafora più adatta per la malattia mentale è il terremoto, le viscere in movimento e il fenomeno in superficie è disastroso, anche se in realtà si tratta solo di un tentativo di trovare un equilibrio migliore. Il problema è che l’individuo deve essere aiutato a capir il senso della catastrofe che vive. Non si può capire nulla del comportamento umano se non si comprende che viviamo secondo due modalità: il mondo sociale è rappresentato dentro di noi. Ma poi, l’uomo ha anche uno spiccato bisogno di individuazione, di sentirsi libero e dotato di personalità propria. In termini semplici, il rapporto tra doveri sociali e diritti individuali può creare delle frizioni. Questa è una tensione universale umana che crea un conflitto che può dare luogo a dei sintomi, una patologia in altre parole, ma che rappresenta un segno di vitalità interiore. Quindi, il concetto degli anni ’70 per cui “la malattia è un tentativo di guarigione” è sempre valido, e si può aggiungere che la normalità rappresenta una gabbia. Se la patologia viene interpretata, l’individuo può guarire, altrimenti no.
I sintomi vanno interpretati. Nell’attesa che questo avvenga, gli psicofarmaci, essendo solo dei presidi sintomatici, possono servire solo nella misura in cui per il soggetto ci sia un beneficio momentaneo, può anche andare bene per 3/4 anni ma poi bisogna uscire dalla malattia.
I principi da tenere presenti nell’utilizzo degli psicofarmaci sono:
le dosi devono essere le più basse possibile
le terapie devono essere brevi perché altrimenti si creano effetti di cronicizzazione oltre ai noti effetti collaterali, si accumulano cioè tensioni che vengono sopite dai farmaci
il paziente deve essere partecipe, capire che il farmaco non guarisce ma rappresenta un mezzo, un ausilio per uscire dalla sofferenza.
Io sostengo che la sofferenza psichiatrica rappresenta un tentativo di guarigione dalla normalità, ma se lo dico ai miei colleghi mi prendono per pazzo.
Il punto è che non esiste nessuna prova scientifica che la malattia mentale sia di origine biologica.
L’unico dato è sui gemelli, quando uno è schizofrenico si è osservato che l’altro ha il 50% di probabilità di diventarlo. E tanta gente si sente fallita a seguito delle promesse della farmacologia che vorrebbe convincere che coi farmaci si può guarire.
La cosa fondamentale invece è comprendere la nostra ambivalenza, il nostro inconscio. La nostra complessità è tale e tanta che una rivoluzione di consapevolezza serve.
Ad esempio le allucinazioni: per il paziente sono una realtà come qualsiasi altra. Questo è stato scientificamente provato con delle macchine che monitorano l’attività cerebrale, che verificano che si attiva, con le allucinazioni uditive, la zone del cervello che sovraintende all’udito.
In realtà, questa modalità percettiva allucinatoria appartiene ad ognuno: ogni notte, per un’ora e mezza tutti sogniamo. L’allucinazione non è altro che un sogno ad occhi aperti. Su questa base possiamo dire che:
- ogni cervello può allucinare
- questo può avvenire anche nella veglia, e se questo accade, ha un senso.
Ma la rivoluzione culturale necessaria a comprendere i fenomeni della malattia mentale richiederà molto tempo. Nel mio specifico, mi dedico soprattutto alla prevenzione.
Come psicoterapeuta comunque, ho avuto una ottima percentuale di successo nella cura di persone considerate sofferenti di malattie croniche, percentuale che si aggira sul 30%: apparentemente è bassa, ma anche un solo caso curato dato per irrecuperabile dalla psichiatria ufficiale, è significativo.
Intanto, esiste ancora un fortissimo stigma nei confronti delle persone che soffrono di un disagio mentale perché sono ritenute ad esempio violente, ma in realtà le statistiche sostengono esattamente il contrario: le persone considerate malate di mente sono meno offensive rispetto alla media della popolazione, compiono meno crimini contro la persona. Quello che succede in realtà nella maggioranza dei casi è che chi vive un disagio psichico preferisce l’autolesione, pur di difendere da quella che percepisce come una malattia i propri cari o famigliari.
Prevenire è meglio che curare comunque, dato che nella maggior parte dei casi dopo 3/4 anni dalla prima crisi, il soggetto diventa cronico, cioè irrecuperabile.
La cura è un tragitto molto lungo e faticoso, certo impossibile a estendersi a tutti i soggetti che si rivolgono al Sistema Sanitario Nazionale, che sono comunque stimati essere solo un 10% del totale dei soggetti che andrebbero in realtà curati.
La psichiatria insiste sull’incurabilità perché l’obiettivo delle multinazionali del farmaco (l’industria che è già la più profittevole del mondo) è di estendere la farmacologia a tutta l’area del disagio mentale (ex nevrosi e psicosi insieme) diventando così l’industria più ricca a livello mondiale.
La prevenzione che io pratico si basa su un’osservazione che ho fatto. L’80% delle persone che ammalano vengono al mondo con un tratto caratteriale introverso, quindi mi occupo della tutela dei bambini, che vanno protetti da insegnanti, famiglie, coetanei e quant’altro.
La prevenzione è indispensabile per evitare la saturazione delle strutture territoriali di igiene e salute mentale. Infatti, questa società e questo sistema produrranno sempre troppi malati rispetto a quanto le strutture, sia pubbliche sia private, potranno mai smaltire. La famiglia e la società devono agire in modo da non imporre un codice comportamentale “normale” sul giovane che deve ancora crescere. Ad esempio, imponendo a un ragazzo di rinunciare alle sue inclinazioni artistiche.

IL MEDODO “ALLA SALUTE” DEL DOTTOR MARIANO LOIACONO

(relaz. di Cristiano CEGLIE - Vincenzo DE CARO- Gaetano PASCOLLA) [vedere anche
http://www.nuovaspecie.com
http://www.metodoallasalute.blogspot.com/
e il filmato (dvd) http://www.nuovaspecie.com/IT/files/video.php?ID=4

Il nostro tentativo è quello di portare la rivoluzione culturale sulla malattia mentale all’interno di una struttura pubblica, il “Centro di medicina sociale per alcoldipendenza, farmacodipendenza e disagio diffuso” dell’Azienda ospedaliero-universitaria “Ospedali Riuniti” di Foggia.
Partiamo dall’etimologia. Metodo, dal latino metodum, deriva dal greco méthodos ricerca, investigazione', composto di metá, che indica superamento, e hodós 'via, strada'; cioè 'cammino che porta avanti, oltre'
Per noi significa strada per andare al di là nel viaggio della vita.
“Alla Salute” perché per noi non esiste il sano e il malato: salute, dal latino salute, in latino aveva un doppio significato di “salvezza” e “salute”. Allora i due concetti di medicina e religione come cura dell’anima erano molto contigui. Ma la parola origina dal sanscrito: sarv-as, cioè intero. L’individuo sano è quello che ha la possibilità di esprimere tutte le sue parti. Se ci allontaniamo da questa interezza, stiamo male. Questo è il disagio.
Il centro di medicina sociale viene da noi definito “scandaloso” agli occhi della medicina e della psichiatria. Anche qui c’entra l’etimologia. Scandaloso deriva dal latino scandalu(m) chè a sua volta dal greco skándalon “impedimento, inciampo”, e ancora prima dal sanscrito di nuovo per cui skand è un verbo che vuol dire salire, scendere o trascendere.
La nostra ottica è la non criminalizzazione dei sintomi. Spesso chi presenta il sintomo sta meglio di chi accompagna la persona al centro.
I nostri principi sono:
- superamento della settorialità dei sintomi che sarebbero altrimenti delle “maschere”, che accettiamo invece come una forma di espressione, anche quando si tratta di psicosi
- scalaggio dei farmaci
- coinvolgimento degli accompagnatori
- attivazione di dinamiche complesse nei “gruppi alla salute”
Non c’è mai una visita individuale con il medico. Gli utenti sono trattati tutti alla stessa maniera, sofferenti di dipendenze e di patologie mentali insieme. Infatti, tra “tossici”, alcolisti e sofferenti di disagio mentale c’è molto in comune.
Si supera la modalità di intervento dei gruppi di mutuo-auto-aiuto perché si fa molto uso del corpo. Non considerar il corpo nella terapia infatti significa trascurare un elemento fondamentale. Ad esempio, si sente musica e si balla, ma anche chi è arrabbiato si sfoga, chi è introverso viene stimolato. Questo spesso risveglia corpi addormentati dall’uso degli psicofarmaci o dall’abuso di sostanze.
Gli operatori non sono solo professionisti, ma anche persone comuni. I “conduttori” (così li chiamiamo) non impartiscono regole ma fungono da facilitatori.
Per accedere, basta pagare un ticket di 36 euro al mese e si può venire tutti i giorni.
Ci piace pensare alla cura usando una metafora: chi arriva come portatore di un disagio, è un po’ come un seme frantumato. Il metodo restituisce interezza a questo seme, a cui poi viene fornito terreno e acqua. Non si impone all’individuo quello che deve diventare, gli si forniscono solo gli strumenti per diventare se stesso.
Ognuno diventa accompagnatore di se stesso ma anche dell’altro. Si crea una rete. Ad esempio, chi ne ha bisogno può essere ospitato per un periodo critico da un altro.
Pubblichiamo anche una rivista che raccoglie il sapere di chi passa dal centro, autofinanziata e a divulgazione nazionale, “Limax”.
Inoltre “Associazioni alla Salute” sono state create in Puglia e nelle Marche.
Poi c’è un Blog creato da una ragazza in cura da quando aveva 16 anni e che adesso non fa più uso di farmaci e ha ripreso in mano la sua vita, studia e lavora nell’ambito dello spettacolo. www.metodoallasalute.blogspot.com
E c’è anche il sito, www.nuovaspecie.it
Al centro arrivano persone da tutta Italia.
Il dottor Loiacono fa parte anche del comitato scientifico dell’ OISM - Osservatorio Italiano Salute Mentale, e del Comitato “Giù le mani dai bambini” per la farmacovigilanza in età pedriatica.
Il centro poi ha recentemente ricevuto un riconoscimento: è stato segnalato come “buona prassi” nell’ambito del progetto “Non solo fannulloni” indetto dal ministro Brunetta, in qualità di “laboratorio multidisciplinare ed integrato – ospedaliero, distrettuale e preventivo - sul disagio diffuso”.
Non c’è comunque nessuno che ha la pretesa di avere l’esclusiva del metodo buono per tutti.
Una volta al mese c’è una cosiddetta “Settimana intensiva”, dalle 9 alle 19.30 si vive tutto quello che è proposto dal metodo.
Ai corsi di preparazione partecipano tutti, conduttori e utenti. La collaborazione dei volontari è fondamentale, sono messi a disposizione alloggi per chi viene da fuori.
Quando finisce? I tempi variano ma certo si finisce. Per prima cosa, con quelle camice di forza chimiche che sono gli psicofarmaci. Che fra i vari effetti collaterali, hanno l’anestesia dei sentimenti.
Uno dei presupposti del metodo è quello di uscire dal ruolo paziente/psichiatra. Soprattutto, i migliori conduttori sono gli ex-utenti. La figura del medico non esiste a nessun livello, anche il Dottor Loiacono si qualifica come persona in trattamento.
Ogni venerdì si fa un bilancio con lui. La settimana intensiva invece interviene due volte.
Il metodo è adatto per qualsiasi tipo di sintomo, infatti si è usata la formula del “disagio diffuso” appositamente, è coperto tutto il DSM-IV-TR.
Si interviene anche in certi casi particolarmente difficili nei quali la persona non desidera partecipare, coinvolgendo allora gli accompagnatori dell’utente.
Convivere con persone con patologie diverse ripetiamo non è solo possibile, ma arricchisce, è molto meglio che dividere etichettando e dividendo per sintomi le persone che partecipano a una cura per gruppi, come fanno la maggior parte dei gruppi di auto-aiuto. Infatti serve a meglio tirar fuori le parti comuni. La sacralità della vita, è uguale per tutti.


[non è qui aggiunto il resoconto di Paola Eulalia. sulla relazione di Giuseppe Bucalo, sia perché Giuseppe non si è riconosciuto nella minuta preliminare di Paola, sia perché comunque la sua relazione era abbastanza fuori dal tema principale di questo articolo sugli psichiatri che non usano gli psicofarmaci .. Aggiungeremo il resoconto dell'azione di Giuseppe in Sicilia in seguito altrove - vedi comunque il sito della "Associazione Penelope"


NO!PAZZIA

www.nopazzia.it

15 giugno 2009