ATTENZIONE ! : E' CONTROPRODUCENTE  SMETTERE GLI PSICOFARMACI  DI COLPO E SENZA CONTROLLO MEDICO, specialmente se è anni che li si prende ! !

GLI  PSICOFARMACI : LENTA  AGONIA  DI  UNA  GRANDE  ILLUSIONE !
GLI  PSICOFARMACI : LENTA  AGONIA  DI  UNA  GRANDE  ILLUSIONE !
Pubblichiamo parte di un articolo scientifico di Giorgio Bignami -ricercatore presso l'Istituto Superiore di Sanità, Roma-uscito nel 1992 su "Fogli di Informazione" la rivista degli psichiatri italiani di derivazione basagliana e pubblicata anche nel libro "Venti Anni di Fogli di Informazione" - A cura di Paolo Tranchina ed Agostino Pirella - Centro di Documentazione Pistoia Editrice -1992 

Questa pubblicazione è ormai un po’ datata, ma circola tuttavia, anche a causa della poco pubblicizzazione e non agevole reperibilità dei testi originali, tuttora fotocopiata e passata di mano in mano negli ambienti delle cooperative che si occupano di assistenza psichiatrica più o meno alternative alla Psichiatria ufficiale a Roma. Ci appare quindi importante pubblicarla anche noi in buona parte su NO!PAZZIA. Stiamo tentando di contattare la Rivista "Fogli di Informazione" per ottenere l'autorizzazione a pubblicarla integralmente. E magari che l'Autore ci ragguagli per aggiornamenti per gli psicofarmaci dell'anno Duemila. Ma considerato che la maggior parte degli attuali psicofarmaci forniti dai Servizi di Igiene Mentale sono ancora quelli del '92, ad es. il pericoloso Aldol a lento rilascio (iniezione mensile), questa pubblicazione - decisamente critica sugli psicofarmaci antipsicotici, ma tuttavia interna alla Psichiatria, proveniente da un ricercatore ufficiale del nostro Istituto Superiore di Sanità - ha ancora piena validità di messa in discussione se non di netta denuncia della attuale Psichiatria basata su psicofarmaci.
Si tratta di un articolo fatto da medici per medici, scritto quindi in un linguaggio non del tutto accessibile ai comuni mortali. Tuttavia se chi legge ha a che fare con gli psicofarmaci, potrà facilmente stamparlo con la prima ink-jet che gli capita e passarlo quindi utilmente al suo medico di fiducia  - Purché quest'ultimo non sia uno di quei tanti sordi che non vogliono sentire!


Gli psicofarmaci quarant’anni dopo: lenta agonia di una grande illusione
Giorgio Bignami (Laboratorio di Fisiopatologia di Organo e di Sistema, Istituto Superiore di Sanità, Roma)
 
 
 

Riassunto

Negli ultimi due decenni sono emerse preoccupazioni notevoli sulla reale natura degli effetti dei farmaci psicotropi di più largo impiego, come gli ansiolitici e ipnotico-sedativi usati in un'ampia gamma di disturbi "minori" e gli antipsicotici, soprattutto i neurolettici ma anche i sali di litio. Nel caso dei primi, infatti, le proprietà terapeutiche vere e proprie, oltre ad apparire assai meno notevoli di quanto originariamente indicato, tendono a essere poco durevoli (da qualche giorno a poche settimane nel caso dell’azione ipnoinducente, da qualche settimana a pochi mesi nel caso dell’azione ansiolitica). Per contro appare sempre più evidente, come motivo reale di una prescrizione assai estesa, il ruolo delle proprietà gratificanti dei prodotti che in una parte consistente dei casi danno luogo ad una autosomministrazione a tempo indeterminato.

D’altra parte è ormai emerso in tutta la sua drammaticità il danno neurologico da neurolettici, responsabili non solo delle discinesie tardive, ma anche di almeno una parte di quei disturbi cognitivi (sino alla demenza) che si attribuiscono di solito alla malattia. Inoltre è chiaramente documentato, sia nell’uomo che nell’animale, il carattere avversivo (o punitivo) dell’impregnazione neurolettica, il che non solo spiega i casi di rifiuto della terapia, ma anche impone di comprendere meglio i meccanismi (apprendimento o altro) che determinano nella maggioranza dei pazienti la accettazione di una terapia che produce malessere. Infine si vanno estendendo le indagini riguardanti le modifiche di "storia naturale" della psicosi prodotte dalla neurolettizzazione, e in particolare sulla cronicità di tipo disforico-depressivo che colpisce una parte consistente dei pazienti trattati.

Descrittori maggiori: Psicofarmaci, Ipnotico-sedativi, Ansiolitici, Neurolettici,

Litio, Patologia da farmaco, Effetti gratificanti, Effetti avversivi, Compliance,

Non-compliance

Descrittori minori: Modelli di malattia, Influenze culturali

Abstract

Over the past two decades there has been a growing concern on the real nature of the effects of widely employed psychotropic agents such as the anxiolytics and hypnotic-sedatives used in a wide variety of "minor" disturbances and the neuroleptics (and to a lesse extent lithium salts) used in psychotics. In the case of the former, genuine therapeutic properties, which appear to be much less striking that originally claimed, tend to disappear quickly (within days or afew weeks in the case of hypnotic effects, within weeks or a few months in the case of anxiolytic effects). More over, it is increasingly recognized that the extensive use of these agents is due largely to their pleasurable (positively reinforcing) effects that lead to prolonged self-administration in a substantial part of the cases.

On the other hand, it is now acknowledged that neuroleptics can produce widespread neurological damage, resulting not only in tardive dyskinesias, but also in at least part of those cognitive changes (up to dementia) that were so far attributed to the disease. Furthermore, both human and animal data show clearly that neuroleptics have marked aversive properties, which not only can account for non-compliance, but also makes it necessary to understand the mechanisms (learning or other) that prevent the rejection of malaise-inducing treatments in a large majority of the patients. Finally, there is now a growing interest for possible changes in the "natural history" of the psychotic disease due to neuroleptic treatments, particularly as concerns the production of a chronic dysphoria-depression syndrome.

Key-words: Psychotropic drugs, Anxiolytics, Hypnotic-sedatives, Neuroleptics,

Lithium, Drugpathogenicity , Pleasurable (positively reinforcing) Effects, Aversive

(negatively reinforcing) Effects, Compliance. Non-compliance, Disease models,

Cultural influences.
 

1. Premessa

Negli ultimi anni si è andata esaurendo quella spinta critica e autocritica che per un lungo periodo di sviluppo della nuova psichiatria italiana aveva tenuto costantemente nel mirino sia le contraddizioni dei modelli scientifici e clinici che i criteri di validazione delle prassi terapeutiche.

Nel frattempo molti oggetti del contendere si sono modificati, varie posizioni nel campo della cosiddetta psichiatria ufficiale sono andate incontro a una revisione più o meno profonda, a seconda dei casi, nel tentativo di rimediare alle incongruenze più vistose. Un tale processo è a sua volta contraddittorio, dovendo spesso operare scelte arbitrarie di quanto può essere messo in questione o deve invece restare fuori tiro, per evitare sia una rischiosa presa di coscienza dei problemi teorici che una delegittimazione delle prassi affermate.

Il farmaco, ancora una volta, offre buone occasioni per un tentativo di fare il punto della situazione. Da un lato, infatti, sono passati oltre tre decenni senza vere innovazioni che consentano di superare i limiti delle attuali terapie, le quali restano terapie esclusivamente sintomatiche, con un rapporto beneficio-rischio non dei più favorevoli. Dall’altro è interessante constatare come di alcuni problemi si prenda atto, sia pure con grave ritardo e con la dovuta gradualità e prudenza, mentre altri problemi non meno importanti restano in larga parte ignorati, anzi, rimossi: per esempio, come si vedrà più oltre, si può parlare di alcuni aspetti della nocività dei neurolettici, come il danno neurologico che determina le discinesie tardive, mentre si è guardati con sospetto se si estende il discorso ai danni cognitivi, alla disforia che in una parte dei casi conferisce ai trattamenti connotazioni nettamente punitive, alle modifiche della storia naturale della malattia psicotica, come gli stati disforico-depressivi cronici, che sono sempre più sospette di esser conseguenza dei trattamenti piuttosto che di altre variabili.

2. Perplessità e interrogativi sulle terapie psichiatriche

"Il trattamento psichiatrico, anche quando è utile per migliorare la condizione di un paziente, è spesso sgradevole (unpleasant). Alcune forme di trattamento danno sollievo, ma possono avere effetti collaterali che persistono oltre il termine del trattamento stesso e della presenza del disturbo. Non vi sono al momento attuale metodi validi e affidabili per la valutazione della accettabilità di un trattamento da parte di un paziente e della sua famiglia". (1)

Queste considerazioni poco misericordiose sull’attuale stato dell’arte terapeutica in psichiatria non vengono dal solito scettico di turno, ma da Norman Sartorius, direttore di quella divisione per la salute mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) le cui indagini su scala planetaria hanno contribuito non poco a incrinare alcuni dei miti più cari alla psichiatria tradizionale. Notevole risonanza, per esempio, hanno avuto le indagini multicentriche le quali da un lato hanno confermato l’ubiquità di una malattia mentale che appare inestricabilmente legata alla condizione umana, ma dall’altro hanno dimostrato come sia diversa in funzione del contesto la "storia naturale" della malattia, essendo le recidive e i fenomeni di cronicità e di deficit funzionale grave assai meno frequenti nei Paesi in via di sviluppo che non nelle società profondamente trasformate da uno sviluppo di tipo occidentale, Est europeo compreso. (2)

Inoltre i lettori dei Fogli ricorderanno l’analisi di Jablensky (3) ripresa da una sede internazionale con un commento critico di De Salvia e Rolle (4). Sulla base di una gran mole di dati riguardanti i profili sintomatici, i decorsi e gli esiti nelle indagini dell’O.M.S., Jablensky sferrava un duro colpo al modello nosografico cosiddetto categoriale, cioè quello che insiste sulle malattie mentali distinte l’una dall’altra (ed è pertanto anche il fondamento delle attribuzioni di specificità alle varie terapie), anziché arrendersi alle evidenze a favore di un continuum sia di costellazioni sintomatiche che di gravità e di esiti (modello dimensionale).

Questi e altri analoghi dati hanno un rilievo assai notevole ai fini del giudizio sulle terapie, se non altro perché appare irrisolto (né sembra si stiano facendo molti sforzi per risolvere) un problema particolarmente spinoso: l’elevata frequenza di recidive e cronicità nei Paesi sviluppati. E’ essa dovuta prevalentemente a fattori socio-economici e culturali - cioè all’organizzazione di lavoro e di vita, alle ideologie che la sostengono, ai modelli scientifici più o meno deterministici che al di là delle belle parole assegnano al paziente psichiatrico grave un destino di malattia, di disfunzionalità e di esclusione e che come molte profezie si autoavverano attraverso sottili meccanismi patogeni - o è più direttamente e più semplicemente una conseguenza degli specifici interventi terapeutici che si è scelto di privilegiare? Ovviamente non si tenterà in questa sede un "giudizio finale" su tale problema, ma circoscrivendo l’argomento, per motivi sia di competenza che di spazio, si proverà a vagliare alcuni degli aspetti di quel rapporto beneficio-costo nelle terapie farmacologiche sui quali è sinora mancata una riflessione sufficientemente approfondita.

Non si potrà quindi parlare, se non di sfuggita, delle terapie elettroconvulsivanti, che pure stanno vivendo una "seconda (o terza) giovinezza"; né si affronterà la questione degli interventi psicologici che pure, meglio del farmaco, si presterebbero a una analisi del rapporto tra ideologie e modelli adottati da curanti, pazienti e circostanti, ed evoluzione del disturbo in maniera eventualmente diversa da quella inerente a una sua storia naturale. (Da qui in avanti, si noti, si userà il termine "circostanti", anziché quello più corrente di "famigliari", per sottolineare 1 ‘importanza della natura e qualità dei rapporti del paziente con tutte le parti con cui esso viene a qualsiasi titolo a contatto).

D’altra parte si deve avvertire che un’analisi centrata sul farmaco non consente più di un tanto di distinguere fra i ruoli di diversi tipi di variabili. Nel farmaco, infatti, risulta inseparabile la componente degli effetti organici da quella degli effetti prodotti attraverso meccanismi psicosociali e culturali; per esempio, da quella medicalizzazione del disturbo comportamentale che per un verso può aiutare a combattere la condanna morale, ma dall’altro può intralciare i processi di riequilibrazione funzionale attraverso l’assegnazione e l’assunzione di un ruolo di malattia.

3. Preoccupazioni crescenti per la patogenicità degli psicofarmaci: una catastrofe iatrogena?

Per meglio cogliere l’importanza del messaggio dell’O.M.S. che si è più sopra citato, per sottolineare allo stesso tempo l’ambiguità della letteratura psichiatrica sulla possibile sgradevolezza di vari trattamenti in funzione dei loro effetti collaterali, si dedicherà in questa sede uno spazio particolarmente ampio al problema delle "valenze edoniche" di diversi tipi di farmaci che possono agire come ricompense o punizioni, dando in larga misura per scontata una conoscenza adeguata degli effetti collaterali intesi nel senso classico del termine.

Prima di procedere oltre, occorre tuttavia sottolineare che il campo della patologia da psicofarmaci, e in particolare di quella da neuroletticì, si va continuamente estendendo. Per esempio, una recente rassegna di un autore ben noto anche in Italia, Peter Breggin, sottolinea quei dati i quali depongono per l’esistenza di uno stretto rapporto tra la produzione nel lungo termine di disturbi di carattere ipercinetico (cioè diversi dagli effetti acuti e subacuti di carattere prevalentemente ipocinetico, come il rallentamento motorio di tipo parkinsoniano) e la produzione di danni cognitivi irreversibili, sino alla vera e propria demenza. (5)

Oltre a riassumere l’evidenza la quale indica che il deterioramento cognitivo (tutt’altro che infrequente nei pazienti di lungo corso) è dovuto ai trattamenti e non alla malattia, come spesso si sostiene, Breggin sottolinea come il rapporto tra danni motori e decadimento delle funzioni psicologiche di livello più elevato sia un rapporto sin troppo logico alla luce dei dati anatomo-funzionali e fisiopatologici. Le discinesie tardive, infatti, sono riconducibili a fenomeni di supersensitività e iperattività dopaminergica in sede striatale a seguito del blocco prolungato dell’attività dopaminergica normalmente assicurata dalle terminazioni dei neuroni A9 della sostanza nera. Mutatis mutandis, il disturbo cognitivo appare come il prodotto di una disfunzione analoga in quelle strutture mesolimbiche e corticali le quali ricevono i terminali dei neuroni dopaminergici A10 del tegmento mesencefalico ventrale.

Breggin conclude questi raffronti facendo notare come per curare una malattia la cui storia naturale è spesso una storia di guarigione spontanea o almeno di soddisfacente riequilibrazione, come hanno mostrato molte analisi longitudinali degli ultimi decenni (6), spesso se ne produca un’altra che non soltanto è inguaribile, ma anche contiene un circolo vizioso assai difficile da interrompere. I sintomi di questa malattia iatrogena, infatti, tendono ad aggravarsi se il trattamento viene sospeso o alleggerito, come è particolarmente evidente nel caso delle discinesie tardive. D’altra parte, la continuazione del trattamento per controllare i sintomi della malattia da esso prodotta non può che aggravare ulteriormente la patologia sottostante.

Alcune indagini sembrano indicare che l’uso dei neurolettici sia stato meno pesante in Italia che in altri Paesi (7) e che corrispondentemente la prevalenza delle discinesie tardive sia tra le più basse tra quelle sinora riportate in letteratura (8). Ma si tratta pur sempre di una prevalenza che sfiora il 20%, cioè di un carico enorme di patologia e di sofferenza aggiuntiva che ben giustifica il drastico giudizio di Breggin: "Mai prima d’ora nella storia la professione psichiatrica e medica ha dovuto confrontarsi con una catastrofe iatrogena di proporzioni paragonabili a quella dell’epidemia di discinesia tardiva, di deficit cognitivo e di demenza tardiva ed atrofia cerebrale prodotti dai neurolettici".
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[prosegue con :
4. Benessere/malessere da psicofarmaci e obiettivi delle terapie
4.1 Precisazione sulle proprità gratificanti di ansiolitici e ipnotico-sedativi
4.2. Precisazioni sugli stati di malessere prodotti da trattamenti antipsicotici
4.3. Modelli di disforia da farmaci nell’animale
4.4 Meccanismi di accettazione dei trattamenti con effetti sgradevoli
4.5. Fattori che influiscono sull’esito del giuoco di diverse contingenze.
5. Cultura, concezioni sulla malattia mentale e scelte terapeutiche
Note                            .]

(stiamo chiedendo il permesso per una pubblicazione integrale: l'articolo è comunque nel libro "Venti Anni di Fogli di Informazione" - A cura di Paolo Tranchina ed Agostino Pirella - Centro di Documentazione Pistoia Editrice -1992- alle pagg. 125 -141)



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