NO!PAZZIA SOPRAVVISSUTI

Karl Bach Jensen è una figura di spicco del movimento Sopravvissuti - Ex Utenti - Utenti della psichiatria europeo (Enusp - www.enusp.org) e mondiale (Wnusp - www.wnusp.org). Ecco qui un suo brano, preso da "Coming Off Psichiatric Drugs", Peter Lehmann edit, che è un compendio delle sue idee sulla pazzia, sugli psicofarmaci, .., con un punto di vista di necessità di spazi per creatività e spiritualità, nonché rispetto e sintonia con l'ambiente. Con, a proposito degli psicofarmaci, in fondo un decalogo di richieste per il movimento Utenti-Exutenti-Sopravvissuti, che senz'altro no!pazzia sottoscrive.


Karl Bach Jensen

Disintossicazione - nel grande come nel piccolo.

Per una cultura del rispetto

Quando da giovane ero andato seriamente fuori di testa, né la mia famiglia né io conoscevamo una risposta diversa da quella tipicamente psichiatrica, che consisteva nella somministrazione dei più diversi tipi di neurolettici ad alto dosaggio. Oggi so che la psichiatria non poteva e non può aiutare davvero. La mia pazzia non è una malattia, ma una parte di me e dalla quale ho imparato a conoscere la mia creatività e spiritualità, sebbene questo processo di apprendimento sia stato molto doloroso e faticoso. Adesso, quando mi trovo in serie difficoltà psico-sociali, mi tengo lontano dai medici per non correre il rischio di essere costretto ad un trattamento psichiatrico. Nel mio Paese (Danimarca n.d.t.) difendere se stessi contro il maltrattamento psichiatrico vuol dire non ricevere nessun tipo di aiuto professionale nel caso si vada fuori di testa. Per mantenere l’equilibrio della mia mente e del mio corpo e per compensare i danni che la psichiatria ha causato al mio cervello, ho imparato a pregare, a gestire alcune tecniche mentali, a mangiare una varietà di alimenti sani e ad utilizzare erbe medicinali.

Nel movimento nazionale e internazionale degli (ex-) utenti e sopravvissuti alla psichiatria mi sono impegnato nella lotta per il diritto ad un aiuto senza psicofarmaci e per il diritto a non subire alcun trattamento contro la propria volontà. Ma contemporaneamente ho anche sentito il bisogno di sviluppare conoscenze alternative e prospettive più ampie, relative a quella parte della vita umana che la psichiatria cerca di controllare.

Ho trovato idee e vie per capire quei fenomeni che la psichiatria sembra affrontare in modo molto diverso: andare fuori di testa - non importa se facendo esperienze “irrazionali” di voci, visioni, paranoia, euforia, autismo, depressione, ansietà e paura estreme – è una strategia di sopravvivenza. Dietro alle cosiddette malattie mentali si possono scoprire molteplici modelli di sopravvivenza che sono stati offerti all’umanità dalla natura nel corso dell’evoluzione. Io e altri utenti o sopravvissuti psichiatrici non soffriamo di chissà quale malattia del cervello; non siamo portatori di chissà quale gene sbagliato. Posso non essere perfetto, ma sono una creatura umana, la mia pazzia ha un senso e ho il diritto di vivere così come sono, senza dover correre costantemente il pericolo che il mio cervello ed il resto del mio corpo venga danneggiato dalle moderne tecnologie psichiatriche.

La persona psicotica come indicatore stradale nella nostra cultura.

Un buon esempio per un approccio alternativo ai fenomeni che la psichiatria etichetta come “malattia psichiatrica”, lo fornisce l’antropologo e filosofo norvegese Jens-Ivar Nergård. Nel suo libro:”Den vuxna barndomen. Den psykotiske personen som vägvisare i vår kultur“ - Dualis, Sweden - 1992, („L’infanzia adulta – La persona psicotica come indicatore stradale nella nostra cultura”), egli fa il parallelo tra la persona “psicotica”, nella nostra cultura moderna e il consigliere tradizionale, lo sciamano, nella cultura sami. (Il popolo sami o lappone , gli indigeni del nord, una volta vivevano come nomadi e pastori di renne nel nord di Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia). Nergård scrive:

“Lo sciamano è una persona con la speciale facoltà di vedere o sentire ciò che la maggior parte del suo popolo non riesce né a vedere né a sentire. Così dagli altri membri della cultura, lo sciamano viene visto come persona con il dono o la capacità eccezionale di stabilire un contatto con lo “straordinario.” (…) Inoltre entra nel proprio spazio interiore, attraverso cui può stabilire un contatto più profondo con i membri della propria comunità”. (ivi, pag. 94)

Nergård dice che la sofferenza delle persone psicotiche nella cultura moderna, deriva proprio dall'esperienza che si fa di questo tipo di cultura. Isolandole, la nostra cultura sperimenterà sempre meno la visione introspettiva. Una conoscenza preziosa viene così bandita dalla comunità.

Secondo Nergård lo sciamano e la persona psicotica si assomigliano molto. Però lo sciamano ha un pubblico, condivide la sua prospettiva con la comunità che è pronta ad ascoltare le sue esperienze.

“Nella nostra cultura la persona psicotica è considerata ammalata. Perciò nessuno pensa che forse si potrebbe venire a sapere da lui/lei qualcosa di saggio. L’isolamento, insieme alla mancanza di un “pubblico”, è il destino della persona psicotica nella nostra società.” (ivi, pag. 96)

Ma la condizione chiamata “psicosi” sembra caratterizzare più la cultura che l’individuo. La psicosi cronica è condizionata dall’isolamento cronico della persona psicotica.

“Mentre nella cultura sami lo sciamano ha un ruolo di guida, la persona psicotica vive una condizione di vita pesante, che viene vista dalla propria cultura soprattutto come priva di senso. (…) Il motivo per cui nella nostra cultura la psicosi diventa una malattia potrebbe essere, in ultima analisi, il completo isolamento, la privazione di qualsiasi pubblico.” (ivi, pag. 97)

Sembra che nelle culture che non conoscono nessuna forma sistematica di isolamento o di esclusione di fenomeni psicologici straordinari, questi non vengano nemmeno visti come straordinari o devianti. Chi è “diverso” porta un dolore dentro di sè che tutti, in misura differente, portano dentro di sé. Il dolore stesso diminuisce quando può essere collettivizzato attraverso rituali e così diventare un’esperienza comune, nella quale ogni singola persona può di nuovo riconoscere se stessa.
La tragedia della persona psicotica consiste, secondo Jens Ivar Nergård, non nel sacrificio di sè o della sua vita, ma nel far parte di una cultura che non capisce che la sua psicosi dovrebbe essere fondamentalmente riconosciuta come atto sacrificale basato sull’introspezione.

“Se la cultura non è in grado di capire queste e altre situazioni simili, un sempre maggior numero di persone dovrà essere sacrificato. La cultura perderà la propria voce interiore, che è un “correttivo” per se stessa di importanza vitale. La mancanza di conoscenza di sé in questa cultura, creerà così ancora più spazio per un sempre maggior numero di pazienti psicotici. (…) La nostra cultura scientifica e razionale manca di rituali e modelli istituzionalizzati per una comprensione e un agire collettivo, che potrebbero rendere possibile l’accesso da parte di tutti alle esperienze di una persona psicotica. Il rituale dominante della nostra cultura consiste nel rinchiudere la persona psicotica come paziente in un’istituzione e/o nel medicalizzarla, di modo che la sua forza vitale si indebolisce sempre più fino a spegnersi.” (ivi, pag 98)

Esilio psicologico – una posizione di difesa umana

Immaginare e scoprire quali disposizioni psicologiche, emozionali e spirituali potrebbero essere state necessarie ai nostri antenati per la loro sopravvivenza in condizioni completamente diverse da quelle della “civiltà” dei nostri giorni, è solo una questione di creatività e di pensiero analitico.
Quali erano i modelli di consapevolezza spirituale e di percezione straordinaria, quali le abilità attraverso cui comunicare con gli spiriti e gli antenati e che portavano vita o morte all’individuo, alle famiglie, alle tribù e ai popoli agli albori dell’umanità?
Quali modelli di esilio psicologico potrebbero essere stati salvifici per quegli esseri umani che per generazioni intere hanno vissuto in condizioni di schiavitù e che sono stati tenuti peggio ancora degli animali nelle stalle o allo zoo, o per persone che sono state escluse dalla comunità e costrette a sopravvivere tra gli animali sociali?

Nella storia di ciascun individuo si trovano le ragioni del perché, dalla grande riserva dell’umanità, arrivino a fare breccia proprio questa o quell’altra forma di sopravvivenza psicosociale. Se questi modelli portano con sé un comportamento in conflitto con il contesto sociale e ci si aspetta che si funzioni solo entro i suoi confini, essi si trasformeranno in un pericolo psicosociale, che può essere interpretato come sintomo di una malattia psichica. Poi si diventerà molto facilmente oggetto della teoria e della pratica psichiatrica, che lo si voglia o no.

Se si accettano le modalità psichiatriche di affrontare il problema, le strategie di sopravvivenza personali si trasformeranno improvvisamente in qualcosa di ostile, in “parti” cattive della propria persona, che devono essere trattate o dalle quali si deve assolutamente essere guariti o liberati. Ma una “guarigione” basata su delle modalità così fondamentalmente sbagliate, costringe i modelli di sopravvivenza a manifestarsi in maniera ancora più forte. Invece che ricevere un aiuto per poter abbandonare il proprio esilio psichico, si viene spinti a rimanerci o a ricercare ulteriori possibilità di ritirata.

So che questa è solo una parte della storia. Tante persone sono dell’opinione che per loro la psichiatria sia un grande aiuto. Ma costringere gli altri, direttamente o indirettamente, dentro un sistema che evidentemente peggiora i loro problemi è sleale, in qualsiasi modo la si giri.

Contro la natura

Nel mio, come più o meno in tutti gli altri paesi industrializzati, l’agricoltura si è rivoltata contro la natura. Le piante e gli animali selvatici che vivono allo stato libero sono stati ridefiniti come nemici contro i quali è permesso condurre quasi ogni genere di guerra. Ma la guerra contro la parte selvaggia della natura si è trasformata in guerra contro l’uomo stesso. I veleni che vengono irrorati su tutti i campi per combattere e controllare gli organismi biologici e per massimizzare i profitti, distruggono oggidì sempre più la qualità della nostra acqua potabile e il valore nutritivo degli alimenti. Nel mio Paese, i consumatori si sollevano in modo sempre più energico contro questo modo di trattare la base della nostra esistenza, madre terra e la sua natura.

Se ho ragione per quanto concerne la natura delle cosiddette “malattie mentali” (e sono abbastanza sicuro di non sbagliarmi), allora, in un futuro non molto lontano, succederà qualcosa di simile per quanto riguarda la tecnologia psichiatrica, la quale si è rivoltata a sua volta contro la nostra natura interiore, la parte “selvaggia” dell’umanità. Per quanto riguarda l’agricoltura è stato risposto con la proposta a un cambiamento: quello di cessare di lottare contro la natura e di dipendere dall’industria chimica, per andare invece verso una nuova comprensione e una cooperazione con la natura in accordo con i principi e le conoscenze biologiche ed ecologiche.

Analogamente a ciò che è successo in ambito agricolo, allorché l’industria e il big business presero il comando, la parte dominante della psichiatria è sempre più dipendente dalla tecnologia più avanzata e dal suo legame con i giganti industriali ed economici, ed è diventata una seria minaccia contro l’umanità.

Incontrare la pazzia in modo adeguato può solo significare imparare a scoprire il punto di vista anche più strano e inquietante che esiste, o perlomeno accettarlo se non se ne capisce il senso. Perché la natura ha sviluppato proprio questi modelli di sopravvivenza? Perché questo individuo in particolare è in grado di sopravvivere solo se pensa, percepisce, sente e si comporta come lo sta appunto facendo? Per capire il senso della pazzia si deve aprire la propria mente e essere pronti ad entrare in dialogo con il prossimo e il proprio Sé interiore.

Cooperare con la natura significa anche essere consapevoli dell’esistenza dello stretto legame tra spirito e corpo e della loro relazione dialettica. Un’alimentazione sana ci è di grande aiuto quando cerchiamo di equilibrare la nostra mente. Per poter gestire le nostre forti emozioni, liberare il nostro io spirituale e riportare la consapevolezza da un esilio mentale interiore alla vita sociale, occorre avere una base solida e un corpo sano. Finora la psichiatria ha prestato pochissima attenzione a questo tema. Al contrario, i suoi metodi danneggiano molto spesso il corpo dei pazienti. Per poter incontrare la pazzia in modo adeguato e poter condurre una vita naturale, è necessario essere liberi da psicofarmaci sintetici che trasformano la personalità e sospendere l’assunzione di questi farmaci velenosi.

Alternative e disposizioni per incoraggiare la sospensione degli psicofarmaci

Respingere il concetto tradizionale della malattia mentale e della necessità di psicofarmaci sintetici, specialmente quando vengono prescritti per un lungo periodo di tempo o per tutta la vita, non può naturalmente voler dire chiudere gli occhi davanti ai problemi reali che molte persone hanno. Non voglio dire che non dobbiamo preoccuparci degli altri, che dobbiamo lasciare che vengano rinchiusi in una cella o lasciati soli quando diventano pazzi o vanno fuori di testa.

Prima di tutto l’atteggiamento nei confronti di persone in difficoltà psico-sociale potrebbe cambiare attraverso una loro sempre maggiore inclusione nel contesto sociale comune della casa, dell’educazione, del lavoro e della cultura, e anche attraverso la costruzione di principi di eguaglianza per quanto riguarda le opportunità ed le possibilità di accesso.

Una caratteristica fondamentale dei servizi psicosociali alternativi potrebbe consistere nell’aiutare le persone nel superamento dei loro problemi, tra le altre cose anche attraverso processi di apprendimento reciproci, sostegno legale, medicina alternativa, una sana alimentazione, dei metodi terapeutici naturali, pratiche spirituali ecc. La farmacopea alternativa conosce erbe medicinali o rimedi omeopatici che possono aiutare il corpo e la mente a riconquistare la tranquillità e a ripristinarne l’equilibrio. Molto probabilmente non si potranno ottenere grossi guadagni, ma hanno un futuro.

In questo ambito gli (ex-) utenti e sopravvissuti dalla psichiatria possono avere un ruolo importante come collaboratori e consiglieri perché conoscono ciò che è stato loro d’aiuto per riottenere l’equilibrio. Servizi di questo tipo, legati all’identità e dignità positive della cultura alternativa, potrebbero essere messi a disposizione e finanziati dalla collettività, o dallo stesso movimento degli (ex)- utenti e sopravvissuti alla psichiatria, che possono anche solo mettere a disposizione un luogo per incontrarsi e realizzare la propria vita.

Nel caso si debbano recludere delle persone per salvare loro la vita o per fermare dall’arrecare agli altri danni seri, nessuno dovrebbe sentirsi in diritto di imporre un qualsiasi trattamento. Per potersi proteggere dai trattamenti sanitari obbligatori, in tutti i paesi dovrebbero avere validità legale i testamenti psichiatrici o altre disposizioni preventive (nei quali sta scritto quali forme di trattamento una persona desidera o meno, nel caso si arrivi a un trattamento sanitario obbligatorio). Sistemi alternativi e servizi decentrati dovrebbero preoccuparsi delle esigenze di persone che hanno problemi psicosociali, in modo tale che verrebbero sempre meno utilizzati gli psicofarmaci velenosi che, a lungo andare, diventerebbero superflui.

Un sistema sociale orientato in senso ecologico e umanistico dovrebbe rinunciare a sostanze tossiche sintetiche sia nella natura, che nelle abitazioni, nel cibo e nella medicina. La rinuncia all’utilizzo di veleni chimici in ambito psicosociale potrebbe essere sviluppato secondo i seguenti punti di vista:

% occorre creare la consapevolezza, sia in pubblico che presso il personale sanitario e gli utenti stessi, del rapporto negativo costi/benefici, dell’inumanità, della pericolosità e dei danni causati dall’assunzione cronica di psicofarmaci;

% bisogna opporsi e combattere le raccomandazioni internazionali e le leggi nazionali che rendono possibili i trattamenti sanitari obbligatori e le condizioni legalmente protette dei trattamenti a lungo termine;

% è importante raccogliere e divulgare conoscenze che concernono i problemi di disassuefazione e di come possono essere risolti;

% devono essere sviluppati servizi speciali per persone che hanno problemi da dipendenza di psicofarmaci;

% assicurarsi che la gente, all’atto della prescrizione medica, venga informata sugli effetti dannosi e sui rischi di dipendenza degli psicofarmaci;

% devono essere sviluppati metodi, sistemi, servizi e istituzioni per un aiuto di breve, media o lunga durata e un sostegno che non si basi in nessun modo sulla somministrazione di psicofarmaci sintetici;

% si devono obbligare coloro che si rendono responsabili di sofferenza, dolore e disabilità causati da psicofarmaci, al pagamento di un risarcimento per danni.


traduzione di Erveda Sansi

da Peter Lehmann (edit) "Coming off from Psychiatric Drugs"

tutti i diritti sono di Peter Lehmann e Karl Bach Jensen