NO!PAZZIA Documenti

importante documento presentato dall'assoc. "Altre Ragioni" di Bari al Congresso nazionale di Medicina Democratica, ottobre 2008. Il documento critica un altro documento presentato allo stesso Congresso che è di semplice difesa della legge 180/833 del 1978 (quella dei Tso). No! Pazzia è pienamente d'accordo con "Altre Ragioni" sia per la critica che per le soluzioni proposte, per quanto dubitiamo parecchio che la psichiatria possa emendare se stessa, che qualsiasi serio miglioramento nei servizi di salute psicosociale possa aversi senza un drastico drastico ridimensionamento del potere psichiatrico.


NO alla semplice difesa della L.180 senza elementi di criticità!

Documento presentato al congresso nazionale di Medicina Democratica
[ http://www.medicinademocratica.org/article.php3?id_article=213 ]
[ lo puoi scaricare anche in versione originale .pdf]

Premessa

Non riteniamo possa essere condivisibile il documento “La riabilitazione psicosociale delle persone con sofferenza psichica” (in allegato: “La_riabilitazione_psicosociale.pdf” ), presentato in occasione del Congresso di Medicina Democratica, sia nelle analisi sulle criticità relative all’assistenza che nella maggior parte delle proposte avanzate.
Ancora una volta, di fronte ad una situazione drammatica che vede, come risultato del non detto e del non fatto di questi ultimi tre decenni, una proposta di modifica alla L.180 in termini di nuova istituzionalizzazione (alleghiamo ultima proposta Ciccioli – “Proposta Ciccioli.doc”) maggiormente coercitiva rispetto a quella attuale, si presentano analisi e proposte nel tentativo di rendere più elegante e per molti (che non conoscono) accettabile un quadro complessivo che in termini di percentuale di popolazione coinvolta e di sofferenza prodotta ha ben pochi precedenti storici.

Non vogliamo ora fare un’analisi dettagliata dell’intero documento, ma sintetizziamo, per permettere una migliore comprensione anche a chi non ha letto quello presentato sulla riabilitazione, i punti che ci trovano in netto disaccordo:
• nessuna scelta, ancora una volta, circa la negatività e il non senso delle prassi coercitive;
• di fatto, nessuna criticità rispetto ad una impostazione sanitaria di risposta ai problemi di sofferenza psichica.

Basti pensare a come si esordisce nel documento accettando di fatto il T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio) “quando necessario”.
Chi ha vissuto un T.S.O. sa benissimo che questo risulta la fine della propria esistenza e possibilità di autodeterminazione e vita dignitosa, provocando un trauma e un danno non più rimarginabile.
Stesse considerazioni vanno fatte rispetto a pratiche definite cinicamente “cliniche” quali la contenzione fisica.
Sembrerebbe che non si voglia in alcun modo mettere in discussione il “non senso terapeutico” delle scelte coercitive e, in maniera mistificatoria, ci si vuole illudere (illudendo) di poter creare “un clima di serenità, etc.” in un posto, quale l’S.P.D.C. (Servizio Psichiatrico Diagnosi Cura), in cui si è stati portati con la forza (a volte legati ad una barella).
Come è possibile pretendere un regime diverso “dall’inerzia, etc.” e, quindi, il coinvolgimento del paziente se di fatto egli è stato costretto contro la sua volontà a stare in quel posto (magari legato per diverse ore o giorni)? Si vuole arrivare all’aberrazione che, oltre a costringerlo alla presenza, lo si debba vedere costretto ad attività congeniali (a chi?) che negano nell’immagine (che si vuole offrire) la rabbia di ciò che si è subito, magari inducendolo a demenziali attività di bricolage rieducativi?
Ammesso (ma non crediamo) che la difficoltà al movimento, derivata dalla coercizione e spesso dalla contenzione fisica e/o farmacologia, permetta una pur semplice attività motoria scaccia orrori.

Ciò che risulta subito evidente è il legame con una visione biologica di quella che in maniera demagogica viene definita inizialmente “sofferenza psichica”; visione che di fatto non ha condotto a nessun risultato degno di nota se non ad un’esasperazione delle condizioni di vita degli utenti e dei familiari e che porta buona parte di questi ultimi a chiedere oggi il ritorno a nuove forme di istituzionalizzazione.
Tutto ciò risulta estremamente grave a maggior ragione oggi, momento in cui il livello di sofferenza in questo tessuto sociale risulta altissimo. I dati dell’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) sostengono l’esistenza di oltre un quarto della popolazione mondiale adulta con problemi psichici (cioè, per loro, psichiatrici, “malati di mente” - in Europa il 29% - si veda: http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php?option=com_content&task=view&... ) e circa il 10% di bambini. Stime che tenderanno ad aumentare in maniera vertiginosa nei prossimi anni. Qualcosa, insomma, che mina qualsiasi ipotesi democratica.

Accettare l’idea della componente biologica (necessità di interventi farmacologici) nel processo che porta alla sofferenza psichica significa accettare l’idea che in un sociale che produce sempre più sofferenza abbiano diritto a vivere e a non essere considerati “malati di mente” solo gli uomini “biologicamente forti” (usiamo il termine “uomini” volutamente, perché crediamo sia un pensiero tutto ”maschile”), mentre gli altri debbano essere stigmatizzati come “malati” (passando allegramente da “persone con sofferenza psichica” a “persone con problemi psichiatrici”) e trattati, quindi, con forme atte a negare e nascondere il loro pensiero, la loro sofferenza, in-sofferenza e differenza, a qualsiasi costo, anche con forme coercitive di stampo medioevale, quali la contenzione fisica o veri e propri lager di vecchio stile, quali gli O.P.G. (Ospedale Psichiatrico Giudiziario – solo ad Aversa 12 decessi dall’inizio da inizio 2007 di cui più della metà suicidi e il resto “morti improvvise” - fonte: http://antigonecampania.wordpress.com/category/uncategorized/ ), dai quali non è permesso spesso uscire fino alla morte.
Significa di fatto avallare un’idea, per nulla lontana da quella della razza superiore o eletta che si voglia, dell’individuo “perfetto” nella misura in cui resiste sano e forte alle condizioni sociali oggi imperanti, contrapposto all’individuo “imperfetto”, anche se non da sopprimere, comunque da trattare farmacologicamente e coercitivamente e, quindi, da stigmatizzare e allontanare dalla vita sociale.

Se non si inseriscono serie inversioni di tendenza allo sfascio sociale di oggi e non si danno risposte alle cause reali che producono la sofferenza psichica (demagogicamente trasformata in “malattia mentale”) ci vorranno (vorranno…) tra non molto ambulatori condominiali, riabilitative di quartiere o parrocchiali, manicomi e O.P.G cittadini o regionali.

Non si può assecondare oggi l’idea della “malattia mentale” come fattore biologico, alla luce, a maggior ragione, dell’aumento esponenziale, in quest’ultimo trentennio, delle persone con sofferenza psichica (parliamo anche di quelle che arrivano ai cosiddetti episodi psicotici).
Cosa è cambiato in quest’ultimo trentennio? E’ cambiata la composizione organica del cervello per cui si richiede un intervento di tipo molecolare, farmacologico e peraltro coercitivo? O davvero si vuole assecondare l’idea, seppur ammodernata, del modellare, rafforzare e selezionare gli esseri umani nella loro biologia senza criticare ed intervenire sulle reali cause della sofferenza?

Quale senso ha, per esempio, aumentare le risorse in direzione sanitaria per la salute mentale?
Ci si rende conto di cosa si intende per il 5% del P.I.L. (Prodotto Interno Lordo)?
Vogliamo ricordare che l’Istruzione in Italia assorbe complessivamente circa il 4,4% del P.I.L.
E che si vuol fare? Si sfasciano la scuola, il lavoro, il senso stesso della socialità intesa come collettivo (oggi si parla di “nuove solitudini involontarie” intese come nuove forme di povertà che si associano alle precedenti), etc., e poi si vogliono assopire “farmacologicamente e coercitivamente” i disastri di questo sfacelo?

Si vuol trarre profitto due volte: inizialmente proponendo condizioni di vita inaccettabili che producono sofferenza e malessere (si veda il clima generale di incertezza e impotenza che si respira, l’effetto a dir poco ansiogeno delle trasformazioni nel mondo del lavoro e del non lavoro, e così via) e in seguito proponendo “rimedi” sanitari costosissimi che producono lucro per i soliti pochi e dovrebbero risolvere il problema.
Ancora una volta, peraltro, accanendosi sui più deboli.
Sembra essere lo sport preferito, oggi, lo scagliarsi contro il debole, a maggior ragione se diverso nel colore, nel pensiero, nel comportamento, etc. (consigliamo, a chi non l’ha ancora fatto, una lettura dell’intervista al dott. Giorgio Antonucci - “Intervista Antonucci 2008.doc”).
La rigidità e l’intransigenza degli integralismi religiosi è ben poca cosa dopo una lettura del Manuale Diagnostico Psichiatrico (strumento principale di “diagnosi” della psichiatria). La quantità dei comportamenti “patologici” è davvero impressionante.

E’ vero che, in una società dove si accetta ormai che la terra possa scomparire tra pochi decenni “grazie” ai danni ambientali procurati dal pensiero, dalla mano forte dell’uomo e da quella che comunemente chiamiamo “globalizzazione” (e si spaccia l’idea che sarà lo stesso sviluppo di questo sistema che determina ciò a trovare soluzioni), si accetta che la fame nel mondo aumenti per produrre una percentuale (peraltro bassa) di energia per le super-potenze (e si spaccia l’idea che la stessa ricerca, degli stessi e nelle stesse direzioni, risolverà il problema della fame e che siamo buoni perché aiutiamo le popolazioni “sottosviluppate” con tanti interventi umanitari), si accetta che la piantina delle guerre disseminate nel pianeta si sovrapponga esattamente a quella per il controllo delle risorse petrolifere (e si spacciano le azioni di guerra come “missioni umanitarie”), etc., chiamare “aiuto alle persone che soffrono psichicamente” trattamenti che di fatto non rispondono né alle cause e quantomeno producono benefici a chi si trova nelle condizioni di vederseli imposti, potrebbe sembrare il male e la menzogna (non crediamo sia un’esasperazione citare Goebbels, Ministro della Propaganda di Hitler: “Una menzogna ripetuta più volte diventa verità.”) minore di quello che viviamo, vediamo e subiamo oggi.

In Italia, peraltro, questa visione delle cose è estremamente esasperata dalla moderna ondata che possiamo da tempo definire di “nuovo fascismo”.
Si stanno accentuando tutte le forme repressive istituzionali.
Si vogliono più carceri, che hanno costi altissimi, dove contenere la piccola delinquenza

marginale prodotta dalle disastrose condizioni sociali, culturali e spesso economiche.
Mentre sappiamo bene chi rimane impunito.
Si vogliono più manicomi (tutte le strutture parcellizzate sul territorio hanno costi altissimi) per relegare e nascondere il disagio, la disperazione e l’insofferenza verso la follia e l’arroganza del potere che oggi sta esplodendo in tutte le sue forme.
Si vogliono più C.P.T.; etc.
Perché i soldi spesi per mantenere ed aumentare le strutture carcerarie (temporanee e non) e manicomiali (moderne e non) non vengono spesi per migliorare le condizioni di vita, genericamente intese, della popolazione?

Ma può ancora essere, ritornando al documento in discussione sulla riabilitazione psicosociale, il problema della sofferenza psichica mera spartizione tra corporazioni che “impongono” o trattamenti farmacologici a vita o il ritorno a pratiche meno eleganti quali gli elettroshock, sempre a vita?
Ammesso che il “potere democratico” e l’idiozia odierna possano trovare eleganti i 20 chilogrammi di media di sovrappeso (e relativo aspetto a dir poco stordito ed anestetizzato) degli utenti trattati con farmaci e coercizioni, le cinghie di contenzione negli S.P.D.C, e così via.

I fallimenti della logica psichiatrica della “malattia mentale”, della visione biologica e dei relativi trattamenti sono sotto gli occhi di tutti.
Vogliamo ricordare a tal proposito l’insistenza con cui alcune università ripropongono il ritorno a pratiche elettroconvulsive. La corporazione più “democratica” smentisce l’efficacia di queste ultime ma non l’inefficacia dei trattamenti farmacologici (in particolare dei neurolettici).
Riportiamo un’affermazione di uno dei maggiori esponenti dell’Università di Pisa: “La farmacoterapia sta vivendo un momento di stallo, con fallimenti di farmaci nuovi e un discusso, ma inevitabile, ritorno ai vecchi. Tanto che negli ultimi dieci, quindici anni non si può parlare di innovazione. Qualcosa deve assolutamente cambiare.” (Fonte: http://quotidianonet.ilsole24ore.com/2008/02/24/66940-cassano_antico_pre... )
Peraltro la cordata di psichiatri che ha presentato ad inizio anno la petizione per l’aumento dei centri in cui praticare l’elettroshock era notevolmente nutrita, ed anche membri di Psichiatria Democratica si riservano, a breve, nuove sperimentazioni elettroconvulsive - Fonte: http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=6418 - (magari appena riescono ad entrare più corposamente nel business delle varie cliniche private…).

Alleghiamo anche la ricerca ministeriale “Progress” (“Progetto Progress.doc”), dalla quale si evince il fallimento del circuito riabilitativo nazionale. Si tenga presente, a proposito di quest’ultima, che l’intero lavoro è stato progettato dagli operatori stessi legati al circuito, e quindi, possiamo presumere, largamente di parte.

Come si può pensare di fare una “battaglia allo stigma”, parlare di “immaturità sociale del territorio” quando lo stigma di “malato mentale” parte dall’idea del soggetto visto come “difettoso”, da “aggiustare” con molecole (o pratiche un po’ meno eleganti quali l’elettroshock), che dovrebbero ridimensionargli il pensiero, il comportamento ed eventualmente (ma questo è secondario) la sofferenza? Come si può continuare a non vedere le cause e, quindi, gli eventuali interventi possibili in un sociale che non ha più regole e rispetto per nessuno e produce sempre più sofferenza, in-sofferenza e disperazione?

Indicazioni propositive

Avanziamo alcune indicazioni che speriamo vengano prese seriamente in considerazione, nella misura in cui si vuole intervenire promuovendo un’inversione di tendenza ormai inevitabile. Ovviamente, qualsiasi indicazione ha senso se si fa luce su quello che è successo in questi ultimi 30 anni, sulla strage che è stata democraticamente perpetuata. A questo scopo, il primo impegno di Medicina Democratica dovrebbe essere, a nostro avviso, il rendere pubblici i documenti relativi ai risultati (non) ottenuti con la L.180 (numero di utenti, ospedalizzazioni, T.S.O., “cronicizzazioni”, suicidi, “morti improvvise”, etc., e relativi costi economici).

Relativamente alle indicazioni:

• Eliminazione dei T.S.O., A.S.O. (Accertamento Sanitario Obbligatorio), O.P.G. (riconversione in strutture socio-riabilitative) e di tutte le forme altre di coercizione.
Diversi indicatori ci possono far dire con certezza che il tasso di suicidi (specie dopo il primo T.S.O.) e delle “morti improvvise” risulta altissimo.
(Anche se è impossibile descrivere con un testo o un’immagine cosa una persona può provare durante un T.S.O., alleghiamo un’immagine che forse può far pensare).

• Ridimensionamento, nelle varie tipologie di strutture esistenti, di tutte le figure sanitarie (psichiatri in primis) e aumento delle figure sociali.
Queste ultime dovrebbero garantire un’analisi e una risposta a quelle che sono le reali esigenze che hanno portato la persona con sofferenza psichica a quel livello di malessere e un controllo della qualità e della “umanità” delle strutture proposte ai servizi territoriali (vogliamo ricordare, per esempio, che la contenzione fisica nelle R.S.A. – Residenze Sanitarie Assistite - è estremamente diffusa).
In tal senso dovrebbe essere favorita anche la figura del “facilitatore sociale”, preferibilmente ex utente o utente, con ruolo di interfaccia tra le figure sanitarie e i servizi sociali territoriali e istituzionali.

• Creazione di tipologie di strutture che prevedano forme di autogestione (anche economica) della propria persona, dei propri bisogni e della propria salute.
Vogliamo ricordare, per esempio, che per un utente in una struttura riabilitativa 24h, si stimano costi di circa 8 mila euro mensili.
Il buon senso, conoscendo a fondo le strutture e le problematiche degli utenti, ci permette di dire che col 30% di quella cifra, almeno l’80% dei “residenti malati” riuscirebbe, potendo autogestire la cifra stessa, ad avere vantaggi sulla propria persona e salute che gli permetterebbero una fuoriuscita dal circuito quasi sempre immediata.
La normativa pugliese contempla, per esempio, la costituzione di strutture dove sono previste forme di autogestione. Nulla è stato fatto in merito alla loro puntuale definizione e realizzazione.

• Valorizzazione di forme (anche economiche), momenti e cultura legati all’autogestione della propria persona e della propria salute in tutte le tipologie di strutture esistenti.

• Valorizzazione, sperimentazione e diffusione di tutte le esperienze che hanno visto approcci alla sofferenza psichica non coercitivi e farmacologici.

Vogliamo ricordare a tal proposito:

• i risultati significativi di esperienze non farmacologiche e coercitive quali: Soteria, La casa del fuggitivo di Berlino (Riferimento, in tedesco: http://www.weglaufhaus.de/weglaufhaus/index.html ), il Metodo alla Salute del dott. Loiacono di Foggia (Riferimento: http://www.metodoallasalute.blogspot.com/ ), i gruppi di auto mutuo aiuto diffusi da Ron Coleman, il Centro di Relazioni Umane del dott. Cotti, e così via;

• che il differenziale di mortalità tra un “normale” ed un “utente psichiatrico” trattato farmacologicamente e coercitivamente si stima essere di circa 10-15 anni;

• che il circuito psichiatrico è spesso un circuito che si autoalimenta, visto che:
- il non cambiare delle circostanze che hanno prodotto la sofferenza porta, in breve periodo, all’esasperazione delle condizioni del soggetto che non vede risultati tangibili della propria condizione; anzi vive tutti gli effetti di ritorno dei farmaci e della stigmatizzazione che si innesca. Tutto ciò, ancora una volta, viene spacciato per “cronicità e peggioramento della malattia”, fino a portare il soggetto ad una esasperazione tale da produrre un peggioramento delle proprie condizioni che innesca (e a loro avviso giustifica) momenti di ospedalizzazione o T.S.O., dopo i quali, visti i danni arrecati, risulta praticamente impossibile uscire dal circuito;
- l’utente entra nel circuito psichiatrico con una diagnosi e, dopo un breve periodo, peggioramento dopo peggioramento, effetto collaterale dopo effetto collaterale, si ritrova a dover fare i conti con circa 6-7 diagnosi diverse per finire, quasi sempre, col minestrone “schizofrenia”;
- circa il 90% dei T.S.O. viene effettuato a causa dei danni provocati da una dismissione dei farmaci troppo repentina e senza metodo (da parte dell’utente che individua nell’assunzione di questi farmaci la causa del peggioramento delle proprie condizioni di salute) o da un cambiamento del farmaco (effettuato dallo psichiatra), “alla ricerca di quello giusto”;
- le forme sia emotive (e in questo anche molte scuole di psicologia e psicoterapia giocano il loro ruolo) che farmacologiche, con le quali si depotenzia l’utente che approccia ai servizi, sono molto più subdole e nascoste di quelle praticate nei vecchi manicomi, ma altrettanto efficaci e tali da rendere l’utente, in un tempo medio di uno o due anni, completamente demotivato, depotenziato e senza più alcun diritto;

• che i limitati risultati nei cosiddetti trattamenti dei “disturbi minori” (comunemente definiti di tipo “nevrotico”) non smentiscono l’impostazione di quanto detto e risultano, peraltro, quasi inesistenti oltre che, spesso, dannosi (diversi studi confermano questa ipotesi. Oltre agli innumerevoli che collegano, per esempio, l’utilizzo degli antidepressivi all’aumento dei casi di suicidio, si veda, giusto per citarne uno, quello pubblicato ultimamente da Plos Medicine: http://medicine.plosjournals.org/perlserv/?request=get-document&doi=10.1... recensito da Panorama, 20 marzo 2008.;).

• che alcuni studi hanno dimostrato (si consiglia una lettura di “Mad in America” di Robert Whitaker) che nei paesi poveri e cosiddetti “sottosviluppati”, senza il “supporto” farmacologico e coercitivo, spesso la capacità di “recupero” dopo i primi episodi di esplosione di sofferenza (cosiddetti

episodi psicotici) risulta essere estremamente superiore ai risultati che il nostro tessuto sociale e i circuiti psichiatrici attuali ottengono (o, meglio, non ottengono).

Conclusioni

Non è accettabile (ora più che mai) il double bind tipico di psichiatria democratica (ma anche del Forum Salute Mentale, etc.), fatto di slogan ripetuti (in tutte le loro iniziative) sullo stile “La libertà è terapeutica” e nella realtà contrapposti a prassi coercitive sempre più diffuse come norma.
La libertà è terapeutica o non lo è? Non può esserlo solo a discrezione di quello o di quell’altro psichiatra, di quella o quell’altra occasione. Chi perde la propria libertà (e viene magari legato ad un letto perché si è ribellato) sta meglio o sta peggio? Togliere la libertà ad una persona è un atto punitivo o “curativo” e di aiuto? Chi già soffre e si vede privato della propria libertà sta meglio o sta peggio?
Si faccia una scelta!

Noi che subiamo tutto ciò sappiamo bene come stanno le cose.

Non crediamo abbia senso oggi appoggiare un’idea di “difesa della 180” senza inserire elementi di criticità seri e comprendere che questo nuovo ultimo attacco (proposta di modifica Ciccioli) altro non è che il risultato di ciò che non è stato fatto e detto in questi ultimi trenta anni.
Pensiero, questo, condiviso, da un primo sondaggio effettuato, da diverse altre realtà associative di ex-utenti (sopravvissuti) ed utenti (loro malgrado) nazionali.

Firmato
Associazione “Altre Ragioni” - Bari

P.S.: per gli allegati citati si faccia riferimento a: http://www.medicinademocratica.org/article.php3?id_article=213 dove sono disponobili in formato .pdf – anche questo stesso documento in .pdf


NO!PAZZIA Documenti

www.nopazzia.it -- 1 nov 2008