NO!PAZZIA DOCUMENTI

Questo brano è stato per lunghi anni uno dei documenti di posizione della Rete Mondiale Utenti e Sopravvissuti alla Psichiatria - WNUSP

A CALL TO OPEN THE DOOR

[“Un appello ad aprire la porta”]

Una prospettiva sul disagio psichiatrico, a proposito di “Ripensare le cure”, Congresso internazionale  “Rethinking Care” di Oslo 2001
autrice Mary O'Hagan 


della ”Rete Mondiale di Utenti e Sopravvissuti alla Psichiatria”, www.wnusp.net.
 traduz di Paola Cassano
(anche versione pdf)

UNA PARABOLA

Un tempo, su di una ridente isola circondata da un profondo e sconosciuto mare,  viveva una famiglia, in una grande e antica casa. La famiglia dedicava la propria vita a rendere la propria casa un posto sicuro e confortevole in cui vivere. Lavoravano assieme in armonia, mettendo in comune i propri talenti e capacità.
Ma, poco a poco, uno dei membri della famiglia, che era pittrice, cambiò. Si rifugiò in sé stessa e dipinse strani, incoerenti quadri che né lei e  né gli altri riuscivano a capire. Tutti si sentivano spaventati ed inutili.

Dopo un po’ la sua famiglia le disse: “Devi andartene, i tuoi quadri non appartengono più a questa casa. La nostra casa non è più sicura e confortevole per noi”. Dissero al guardiano di chiudere la donna nella capanna degli attrezzi, alle spalle della proprietà, sul scivoloso confine tra terra e mare. Nella capanna la donna soffrì più profondamente che mai, finché non divenne amica del mare che le spiegò il significato della sua arte. Fu allora che cominciò a sentire la mancanza delle sue tempere e dei pennelli, nuovamente. Quindi chiese al guardiano di riferire alla propria famiglia il suo desiderio di tornare a casa.

Ma la sua famiglia ancora non si fidava di lei e non credeva che fosse in grado di mantenere l’ordine della casa. Le fecero arrivare un messaggio in cui dicevano che lei poteva vivere nella veranda sul retro e che loro avrebbero provveduto a fornirle cibo e biancheria.
Ma la vita nella veranda non fu molto migliore di quella nella capanna. Non le era ancora permesso avere tempere e pennelli e il senso di perdita della sua arte esplose come un urlo lacerante dentro la sua anima. Il guardiano percepì il suo dolore e finalmente riuscì  convincere la sua famiglia a lasciarla vivere all’interno della casa, di nuovo.

La donna non stava in sé dalla gioia nel sentirsi di nuovo a casa.
Prese colori e pennelli e si mise a dipingere mentre gli altri la guardavano. All’inizio i familiari non riuscivano ancora a comprendere i dipinti, ma dopo un po’ percepirono il potere del suo lavoro.
“Dove hai imparato a dipingere in questo modo?”, le chiesero. Lei rispose: “Quando mi trovavo nella capanna ho fatto amicizia col mare che mi ha spiegato il significato della mia arte. Ma io non ho realizzato di poter dipingere in questo modo finché non ho preso in mano gli strumenti che mi erano stati negati per così tanto tempo”.
I parenti capirono l’errore che avevano commesso e da allora le donarono una stanza tutta per sé e tutta sua da decorare a suo piacimento e dove vivere come lei più desiderava.
Da allora in poi, vissero tutti quanti insieme, ognuno nella propria stanza ma sotto lo stesso tetto, felicemente, per sempre.

LA VITA FUORI DALLA CASA

Una breve storia

Gli Utenti psichiatrici hanno lunghe storie di segregazione dalle proprie comunità. Nei paesi occidentali, prima dell’era democratica, siamo stati confinati in povere case, condannati ad un’esistenza errante e alla vita di strada o catturati e torturati come streghe. Negli ultimi 200 anni siamo stati relegati in grandi istituti, ben lontano dai confini cittadini, dove molto spesso siamo rimasti per il resto dei nostri giorni. Nei casi più felici, gli istituti hanno reso disponibile una comunità artificiale ed un controllo paternalistico a coloro i quali avevano perso il diritto di far parte delle loro naturali comunità d’appartenenza. Nei casi peggiori hanno esposto le persone ad abuso, negligenza e trattamenti di tortura.
Nei benestanti paesi occidentali molti di questi istituti stanno chiudendo, ma altrove persistono. Lo stato di segregazione di quel periodo sta passando ma gli utenti psichiatrici hanno molte riserve su ciò che lo ha sostituito.
L’era delle comunità terapeutiche è stata accompagnata da conflitti economici, nuovi trattamenti per “normalizzare” il comportamento delle persone ed una crescente consapevolezza dei diritti umani. Ciò nonostante la terapia comunitaria ha largamente fallito nel reintrodurre le persone alle loro comunità. Spesso e volentieri gli Stati non hanno fornito sufficienti risorse alle comunità terapeutiche. Molti servizi di igiene mentale hanno continuato ad operare in autonomia dalle comunità ed utilizzando gli stessi approcci paternalistici e di controllo degli istituti. Certa gente dopo aver abbandonato l’istituto è finita per strada o in prigione.

Noi, utenti psichiatrici[1], vogliamo sì essere liberati dalla capanna degli attrezzi, ma non vogliamo finire poi nella veranda sul retro. Vogliamo una chiave per la porta ed una stanza dentro alla casa.

Storie personali

Scrivo in quanto persona privilegiata che vive in un paese sviluppato e democratico, che non ha mai conosciuto nella sua storia estrema povertà, guerre o dittature oppressive.
Ma io conosco realmente l’esperienza del disagio psichiatrico ed ho conosciuto altra gente con disagi psichiatrici, provenienti da ogni parte del mondo. Nonostante le differenze culturali, di razza, di cultura e credo religioso, le nostre storie sono essenzialmente le stesse. Sono le storie di persone esiliate che stanno combattendo con tutte le forse per trovare la strada di casa.

Gli utenti psichiatrici di tutto il mondo parlano della loro sofferenza durante episodi di disagio mentale, ma peggio ancora, parlano della vergogna, e del rifiuto degli altri per qualcosa che non hanno scelto.

Una grossa fetta di utenti psichiatrici parla dell’orrore nell’essere chiusi a chiave dentro ad un istituto, sottoposti a trattamenti forzati, ad abuso fisico e sessuale e all’abbandono. In certi paesi la gente viene intrappolata negli istituti per anni senza alcun processo legale che gli permetta di uscire. Alcune persone riportano di essere state ficcate lì dentro per nascondere la vergogna della loro famiglia o per far zittire le loro idee politiche.

Milioni di persone hanno subìto seri danni a causa dei trattamenti psichiatrici. Molta gente soffre di Discinesia Tardiva- un effetto collaterale disfigurante e permanente dei farmaci antipsicotici. Alcune persone soffrono permanentemente di perdite di memoria causate da elettroshock. In certi casi meno diffusi delle persone hanno subito lobotomie, operazioni al cervello che hanno appiattito e annullato per sempre le loro personalità.

Un numero crescente di persone dice di non essere stato in grado di usufruire dei servizi d’igiene mentale della propria comunità quando ne aveva bisogno, perché non ce n’erano abbastanza, o perché l’assistenza che offrivano non rispondeva alle necessità degli utenti.

Milioni di persone con disabilità psichiatriche vivono in istituti fatiscenti, degradati, in case e ostelli dove non hanno voce, in pensioni in rovina, prigioni o nelle strade. Quelli che provano ad andare ad abitare in quartieri dignitosi spesso ricevono il messaggio che non sono i benvenuti.

Molti utenti psichiatrici che vorrebbero lavorare non trovano assolutamente una collocazione lavorativa all’interno del mercato.
Viene loro offerto un tirocinio durante il ricovero dove finiscono svolgendo attività ripetitive in cambio di un compenso irrisorio. Oppure passano la loro vita in sale di attesa e centri diurni senza alcuna chance di dare un qualche contributo alla comunità.

In tutto il mondo utenti psichiatrici stanno affollando le fila della classe inferiore nella veranda sul retro delle loro comunità, dove sono condannati agli intollerabili e molteplici problemi derivanti da povertà, disoccupazione, perdita di speranza, abitazioni inadeguate, isolamento e sfruttamento.

Ma non deve andare in questo modo.
Queste cose non succederebbero mai in un mondo dove le persone con problemi psichiatrici avessero le cure i trattamenti ed il supporto che vogliono, e le stesse opportunità dei propri concittadini.

LA  PORTA CHIUSA

Ci sono a volte resistenze opprimenti che mantengono la porta chiusa a persone con problemi psichiatrici. Queste forze influenzano il modo di pensare della gente, quanto il loro comportamento stesso. Ognuno potenzialmente condivide una parte di responsabilità nel mantenere la porta chiusa ai pazienti, inclusi i pazienti stessi.

La concettualizzazzione della malattia mentale e dell’invalidità è troppo ristretta e non facilita il ricovero.

Ci sono state molte spiegazioni della malattia mentale lungo la storia ed attraverso differenti culture, ma in molti paesi la spiegazione dominante è che la malattia mentale è di origine biologica e risponde meglio ai trattamenti medici. Alcune persone con problemi psichiatrici dicono di aver avuto benefici dalle diagnosi mediche e dalle relative cure, ma molti preferiscono spiegazioni olistiche che tengano in conto cose come le esperienze nella vita di una persona, le ingiustizie sociali, le tendenze in campo spirituale.

Il dibattito sulla natura della malattia mentale e dell’invalidità è molto più che un interessante esercizio intellettuale. I concetti su cui la società basa l’idea di salute mentale e d’invalidità influenzeranno profondamente la modalità di erogazione dei servizi e determineranno l’apertura o la chiusura di quella porta per noi.

Invalidità e malattia mentale sono giudizi, non fatti.

Professionisti di salute mentale e laici interessati hanno la tendenza a vedere la malattia mentale e l’invalidità come fatti insiti in certi individui, invece che dei giudizi socialmente costruiti. E’ evidente che avere credenze non comuni e sentire voci che altri non possono sentire sono dei dati di fatto. Ma attaccare l’etichetta di malattia mentale o invalidità a questi fatti non è altro che un giudizio. Le voci e le visioni di santi e sciamani hanno dato un immenso contributo in molte culture. Come differenti sarebbero state le loro vite se fossero stati giudicati portatori di una malattia mentale invece che di un dono spirituale?!!?

Invalidità e malattia mentale non hanno un significato reale fuori dal contesto delle nostre relazioni sociali e di cosa intendiamo per produttività, comunicazione, fascino, indipendenza e classe sociale:
modi di essere che non rientrano nelle definizioni di quello che è produttivo, affascinante, indipendente e via dicendo, sono, con ogni probabilità, destinati ad essere gettati nel cestino di malattia mentale e invalidità.

Il relativismo e la reversibilità del concetto di invalidità furono ben illustrati una volta in un brillante documentario in televisione di una “repubblica di carrozzine” che fu ideata e controllata da gente in carrozzina. Tutti i soffitti vennero fatti in modo da rendere più comoda la vita di queste persone. La gente in grado di stare in piedi era costretta ad inciampare e cadere per poter andare in giro e ad indossare caschi per proteggersi e non sbattere la testa sul soffitto. Il programma cambiò le coscienze e mostrò come la gente in sedia a rotelle discriminasse le persone in piedi le quali si trovavano a vivere in un mondo che letteralmente e figurativamente ostacolava le loro opportunità di essere produttivi, indipendenti e stimati membri della comunità.

Forse sarebbe meglio per persone con disagio psichiatrico vivere in un mondo dove nessuno fosse visto come un disabile o un malato mentale ma semplicemente come persone con bisogni particolari che gli altri concittadini cercassero di soddisfare nel migliore dei modi. “Disabile” andrebbe solo ad indicare i differenti bisogni di alcune minoranze per vivere una vita piena, invece di tutta quella serie di etichette che ci definiscono come incapaci, inutili e bisognosi di aiuto.

Sfortunatamente, quando l’invalidità e la malattia mentale vengono viste come fatti intrinseci agli individui, tali concetti vengono considerati fuori questione. Questo limita il discorso o l’autoanalisi da parte della società su come essa stessa possa contribuire alle cause della malattia mentale, e su come ciò possa perpetuare questi stati attraverso trattamenti potenti, coercizione e discriminazione.

Il modello medico giustifica la coercizione.

Il modello medico [cioè la teoria psichiatrica che ci siano effettivi danni medici, biochimici al cervello in corrispondenza alle diagnosi psichiatriche, è una ipotesi un modello teorico, finora non confermato da misure, ndT]  ha una lunga connivenza con pratiche coercitive all’interno del sistema della salute mentale. Questo tende a considerare la gente con problemi psichiatrici come delle vittime inermi di forze interne che li privano della loro competenza e razionalità. Il modello medico tende a giustificare trattamenti forzati e pratiche paternalistiche con l’idea alla base che tali pratiche possano restituire loro competenza e razionalità e liberarli dalla loro patologia. I modelli psicosociali non possono giustificare così facilmente coercizione e paternalismo, in particolare quelli che enfatizzano il libero arbitrio e la responsabilità sociale e personale.

Sono proprio gli esperti, i professionisti, i responsabili dei ricoveri

Il modello medico supporta l’uso di potenti tecnologie come farmaci ed elettroshock. Solo gli esperti in queste tecnologie hanno il potere di somministrare questi trattamenti che confinano i pazienti psichiatrici in un ruolo totalmente passivo. La maggior parte delle altre terapie utilizzate dai pazienti psichiatrici come ad esempio la psicoterapia, i rimedi erboristici o i gruppi di autoaiuto richiedono un coinvolgimento molto più attivo da parte dei partecipanti.

Il pessimismo nei servizi di salute mentale è molto diffuso.

Il focalizzarsi su diagnosi e prognosi è particolarmente pronunciata in coloro i quali aderiscono più da vicino al modello medico. Questi credono che le cosiddette malattie mentali gravi seguano un corso pressoché pre-determinato. Questo tende a far sentire gli utenti psichiatrici condannati al ricadere ciclico o al deterioramento nella loro condizione, fatto che può risultare alquanto falso. Il modello medico, in special modo quando non supportato da altre spiegazioni e terapie, incoraggia persone con problemi psichiatrici a sedersi ed aspettare un destino crudele che non hanno alcun potere di cambiare.

Le persone con problemi psichiatrici vengono discriminate

La discriminazione è il più doloroso, vissuto ed insidioso problema per persone con problemi psichiatrici.

La discriminazione prende svariate forme. Può significare che ci troviamo ad essere soggetti di derisione, molestie e abusi. O possiamo semplicemente essere dimenticati ed ignorati. Siamo probabilmente temuti ed evitati perché visti come violenti, disonesti e dal comportamento imprevedibile. Le nostre espressioni di rabbia e sofferenza possono essere interpretate dagli altri come sintomi della nostra malattia. Siamo spesso soggetti ad un eccesso di pietismo ed alla credenza che le nostre vite siano tristi e di scarso valore. Ci viene spesso detto che non miglioreremo mai. Sappiamo bene che se parliamo della nostra esperienza di disagio psichico o malattia mentale possiamo perdere le nostre amicizie o non ottenere la casa o il lavoro che desideriamo.

La discriminazione nei confronti delle persone con problemi psichiatrici può essere così sottile come uno sguardo negli occhi o tanto pesante quanto l’omicidio di persone con problemi psichiatrici ad opera dei nazisti.

Gli utenti psichiatrici possono vivere l’esperienza della discriminazione in qualunque interazione con altri esseri umani. Questi altri possono essere: famiglia, vicini di casa,  colleghi, polizia,  avvocati, professionisti della salute, preti, impiegati statali, agenzie di volontariato, altra gente con disagio psichico, agenti assicurativi, proprietari di casa, personale bancario, politici, giornalisti, amici, compagni, impiegati dell’ufficio immigrazione, colleghi…

Gli utenti psichiatrici, in dolorosa collisione con coloro da cui sono discriminati, molto spesso cominciano a vedere sé stessi come gli altri li vedono.

Discriminazione da parte dello Stato

E’ compito dello stato creare le condizioni nelle quali tutti i cittadini abbiano l’opportunità di condurre delle esistenze piene e di contribuire alle loro comunità.
Il modo con cui ciò viene attuato varia da Stato a Stato.
In molti paesi lo Stato sovvenziona e provvede ai servizi dedicati ai pazienti psichiatrici. Ma c’è una tendenza in certi paesi occidentali a non provvedere ai servizi psichiatrici e a demandare tale compito, sovvenzionando organizzazioni non governative.

Gli Stati hanno discriminato persone con problemi psichiatrici in vari modi. Sono stati responsabili del cronico sotto-finanziamento dei servizi psichiatrici. Alcuni utenti psichiatrici ritengono che lo Stato faccia discriminazione incitando i servizi di salute mentale a somministrare trattamenti coercitivi e ad ospedalizzare alcune persone con problemi psichiatrici.
C’è una tendenza crescente degli Stati ad imporre e ordinare trattamenti obbligatori sulle persone che vivono fuori norma. Gli Stati hanno inoltre fatto troppo poco per impedire alle comunità di escludere utenti psichiatrici, attraverso l’assenza di legislazione in merito e una politica che ci dia uguali opportunità per vivere in una casa decente, per lavorare ed avere un reddito adeguato.

Discriminazione da parte dei servizi di salute mentale

Anche i servizi di salute mentale possono fare discriminazione nei confronti degli utenti. Lo fanno attraverso trattamenti coercitivi o paternalistici, non coinvolgendoci nel prendere decisioni né riuscendo effettivamente a fornirci ciò di cui abbiamo realmente bisogno.

Questo tipo di pratiche non sono caratteristica esclusiva della vita all’interno delle istituzioni (ospedali, comunità etc.) ma sfortunatamente esse restano ben vive anche negli altri servizi di salute mentale che hanno il potere di decidere quali trattamenti somministrarci, che tipo di informazioni fornirci a riguardo e possono venire a disturbarci a casa per imporci i loro trattamenti.
I servizi di alloggio possono decidere dove dobbiamo vivere, con chi dobbiamo vivere, a che ora dobbiamo andare a dormire e a che ora dobbiamo mangiare. Possono decidere cosa dobbiamo fare durante il giorno e se siamo pronti o meno per lavorare. Altri servizi di riabilitazione possono arrivare a decidere come dobbiamo spendere i nostri soldi, quali siano le nostre abilità mancanti, dove dobbiamo andare a fare shopping e così via.

Molti servizi presumono di sapere come provvedere a un buon servizio per persone con problemi psichiatrici senza nemmeno consultarci o chiedercelo. Le persone che usano questi servizi spesso non hanno il potere di cambiare servizio o rivolgersi ad un altro centro. Molti servizi di salute mentale continuano a trattarci senza alcun rispetto, uguaglianza e protezione dei nostri diritti, in special modo il nostro diritto ad un consenso informato.

Discriminazione ad opera della società

La società opera discriminazione nei confronti degli utenti psichiatrici in svariati modi, quando i vicini di casa dicono di non volere che abitiamo nella stessa strada, quando non veniamo assunti per un lavoro, quando i nostri colleghi ci deridono per il nostro disturbo mentale, quando la gente ride di noi o quando i nostri amici ci abbandonano.
Ma la società discrimina gli utenti psichiatrici anche in maniera indiretta delegando troppo la responsabilità per le nostre esistenze, spesso allo Stato. Le persone richiedono servizi specialistici quando le comunità in cui vivono non hanno più la capacità o la volontà di provvedere alle loro necessità.
Ogni società riconosce che la maggior parte delle persone non è in grado di svolgere determinati compiti specialistici come un’operazione chirurgica, programmare un computer o fare lavori di idraulica. Ma le società non sempre dimostrano di avere la volontà di provvedere ai bisogni primari di tutti i cittadini ovvero avere una casa, uno stipendio, un lavoro e una vita familiare. Fatta eccezione per i trattamenti specialistici, come ad esempio i farmaci usati per i disturbi di salute mentale, le capacità/potenzialità ci sono, ma non c’è la volontà.

Quando le persone con problemi psichiatrici necessitano di un servizio specializzato nel trovare casa, stipendio e lavoro, le nostre società abdicano la loro responsabilità nel provvedere a tali nostri bisogni primari. La triste realtà è che non esiste un servizio specialistico che si occupi di tali basilari esigenze universali[…]

Persone con problemi psichiatrici continuano a vivere ghettizzati, spesso messi da parte dallo Stato, non solamente dietro alle mura di qualche istituzione, ma anche in situazioni in cui tutte le persone che conoscono sono solo altri utenti o gente che viene pagata per stare lì.

Gli utenti psichiatrici vengono visti come delle vittime incapaci di prendersi la responsabilità della propria vita.

Gente che è guardata come inutile, che è controllata dai servizi di salute mentale, che è esclusa dalla propria comunità, trova spesso assai difficile scoprire, sviluppare e usare le proprie risorse. La gente con problemi psichiatrici che ha recuperato la propria vita spesso dichiara che l’utilizzo delle proprie energie e capacità per prendersi la responsabilità e la cura di sé stessi ha rappresentato il più importante fattore del proprio recupero.

Troppa gente con problemi psichiatrici resta nei servizi di salute mentale per anni e anni. Sono spesso farmacologizzati oltre misura e scarsamente motivati. La loro spinta allo sviluppo personale è morta nel momento in cui è stata data loro una diagnosi ed è stato detto loro che non sarebbero mai migliorati. Il rispetto verso sé stessi è stato distrutto da trattamenti degradanti e discriminazione. Hanno perso la speranza e la fiducia in una vita migliore. Un danno enorme alla potenzialità umana.

Non è soltanto lo Stato, i servizi di salute mentale o la società in cui viviamo che ci percepisce come delle vittime, ma anche gli utenti psichiatrici stessi spesso e volentieri si percepiscono come delle vittime. Il movimento dei sopravvissuti/utenti psichiatrici e coloro i quali si battono per difendere i nostri diritti possono anch’essi contribuire inavvertitamente al fenomeno del vittimismo. Gli attivisti per i diritti umani e il movimento dei sopravvissuti/utenti hanno enormemente contribuito alla nostra comprensione dell’oppressione e discriminazione delle persone con problemi psichiatrici. Ma a volte ci siamo arenati all’analisi della nostra debolezza e nei ruoli deboli a cui ci siamo tanto abituati. Come persone che lottano per riemergere dall’oppressione non sempre riconosciamo quale potere realmente abbiamo per cambiare noi stessi o le persone intorno a noi. Anche noi abbiamo una chiave per aprire quella porta.

LA CHIAVE PER APRIRE LA PORTA

Il movimento dei sopravvissuti/ utenti psichiatrici

Nel corso degli ultimi due secoli alcuni coraggiosi pazienti psichiatrici hanno lottato per i propri diritti, ma il movimento dei sopravvissuti/utenti psichiatrici non ha cominciato realmente ad organizzarsi fino ai primi anni settanta. Il movimento ha avuto inizio in Europa e in Nord America. Da allora si è diffuso negli altri paesi democratici occidentali, i vecchi paesi comunisti dell’Europa orientale, il Sud Africa, il Giappone, così come l’America Centrale e  il Sud America. Come i movimenti femminista, per i diritti civili, il movimento gay, degli indigeni e dei disabili, così il movimento dei sopravvissuti è basato sul principio dell’autodeterminazione. Crediamo che le persone con problemi psichiatrici abbiano sofferto troppo a causa dei trattamenti obbligatori ad opera del sistema di salute mentale ed abbiano subito abbastanza l’esclusione da parte della società. Le persone con problemi psichiatrici devono avere il potere e le risorse per potere gestire la propria vita.

Il movimento dei sopravvissuti/utenti psichiatrici lavora su due diversi fronti: l’auto-aiuto e l’azione politica.
Per quanto riguarda l’auto-aiuto, miriamo a cambiare noi stessi ed a superare le nostre esperienze. Per quanto riguarda l’azione politica desideriamo cambiare le persone ed i sistemi che minano il nostro benessere.

Non è raro che in certi paesi persone con disturbi psichiatrici si occupino essi stessi dei servizi. Questi possono essere locali, case famiglia, progetti d’alloggio o piccoli business. I servizi gestiti da persone con disturbi psichiatrici di solito sono fortemente impegnati per la completa partecipazione di chi ne fa uso e nel far rispettare i loro diritti.
Le iniziative di auto-aiuto ci forniscono validi esempi su come noi vorremmo fossero i nostri servizi.

Alcuni gruppi all’interno del movimento degli utenti psichiatrici sono scesi in piazza a protestare contro i trattamenti obbligatori fin da quando il movimento ebbe inizio. I trattamenti obbligatori non sono stati proibiti ovunque nel mondo, ma in molti paesi è diventato più difficile per lo Stato rinchiudere o “curare” le gente contro la loro volontà.
Comunque, ci sono segni preoccupanti in certe parti d’Europa e in Nord America: altre persone con problemi psichiatrici potrebbero essere vittime di trattamenti coercitivi da parte della comunità.
Il movimento degli utenti psichiatrici ha anche lottato per la chiusura delle istituzioni manicomiali, per una più ampia gamma di trattamenti e supporti rispetto a quelli offerti dalla maggior parte dei servizi per la salute mentale, e perché le persone con disturbi psichiatrici abbiano uguali opportunità degli altri cittadini.

Le persone con disturbi psichiatrici stanno anche lavorando all’interno del sistema di salute mentale per sviluppare servizi più ricettivi. In molti paesi ora  possiamo vedere governi prendere decisioni e partecipare alla pianificazione, alla somministrazione e alla valutazione dei servizi. Siamo più vicini a comprendere le controversie che circondano le cause del disagio mentale, trovare diverse alternative di cura, conoscere i nostri diritti, discutere su decisioni che ci riguardano prese da chi dispensa i servizi, come mai prima nella storia.

Diritti umani universali

La dichiarazione universale dei diritti umani ha compiuto 50 anni.
Essa fu sviluppata in risposta alle terrificanti atrocità contro i diritti umani compiute dai nazisti in Germania. La dichiarazione sancisce la nascita di un’era in cui da tutti i paesi del mondo ci si aspetta di proteggere i diritti umani di tutti i suoi cittadini. Questo vale anche per gli utenti psichiatrici. Ci sono due parti che interessano particolarmente gli utenti psichiatrici.

Le Regole base di Equalizzazione delle Opportunità per Persone con Disabilità

Sostanzialmente, ogni stato deve rimuovere qualsiasi ostacolo che impedisca la partecipazione ugualitaria di persone con problemi psichiatrici nelle seguenti aree:

. accesso all’ambiente fisico, informazione e comunicazione.

. educazione

. lavoro

. vita famigliare, relazioni sessuali e procreazione

. attività culturali

. assistenza medica

. sport e tempo libero

. religione

Queste Regole stabiliscono anche
che le persone con problemi psichiatrici hanno bisogno di cure adeguate come pre-condizione alle pari opportunità, e che devono poter partecipare ad ogni aspetto della società. E’ evidente che gli stati non hanno seguito queste indicazioni in modo adeguato.

I Principi della Carta Onu circa la Protezione delle Persone con malattie psichiche e per il miglioramento della cura della salute mentale:

questo secondo documento si focalizza sul diritto al trattamento e sui servizi, ma sfortunatamente non offre nessuna guida riguardo alla salvaguardia del diritto delle persone di rifiutare i suddetti trattamenti [corsivo aggiunto dai traduttori, ndI].
Questa è una mancanza madornale secondo molte persone appartenenti al movimento dei sopravvissuti/utenti psichiatrici di tutto il mondo.

Servizi che ci permettono di vedere attraverso la porta

Nonostante le scarse prestazioni di molti servizi, alcuni servizi d’igiene mentale ci aiutano realmente in modo egregio a riprenderci la nostra vita. Questi servizi hanno alcune caratteristiche in comune, e questi sono i servizi che noi vogliamo.
Vogliamo dei servizi che rispondano alle nostre esigenze ovunque noi ci troviamo e chiunque noi siamo, ed in qualunque momento noi ne abbisogniamo.

Vogliamo dei servizi che in sostanza ed innanzitutto non ci facciamo del male.

Tutti i trattamenti e servizi di supporto devono offrire alla gente il maggiore beneficio ed il minor danno possibile. I minori effetti collaterali possibili.

Vogliamo più modi per capire e trattare i nostri disagi mentali di quelli offerti dal sistema medico.

I servizi di salute mentale sono tutt’ora dominati dalle spiegazioni biologistiche e dai trattamenti ad esse conseguenti. Le persone che soffrono di disturbi mentali spesso pensano che vi siano molte spiegazioni al loro disagio e molti tipi di trattamenti e sostegni che potrebbero aiutarli, quali la medicina naturale, la psicoterapia, l’assistenza per trovare un lavoro, contatti via web e aiuti per cercare alloggio.

Vogliamo meno pillole e più assistenza per riguadagnare quelle opportunità sociali e materiali che abbiamo perso.

I centri d’igiene mentale ci aiutano a ridurre il livello di sofferenza e  gli aspetti indesiderabili che la malattia mentale comporta, ma dovrebbero metterci molto più impegno nell’assistere la gente  nella lotta contro l’isolamento, la povertà, la disoccupazione, la discriminazione e tutto ciò che abbiamo perduto nel momento in cui è insorta in noi la sofferenza mentale o la malattia psichiatrica.

Vogliamo servizi volontari, non obbligatori

Alcuni di noi pensano che i trattamenti forzati ed il ricovero siano delle violazioni dei diritti umani che non potranno in alcun caso mai essere giustificate. Per quelli di noi che hanno perso il loro diritto alla totale autonomia, i servizi d’igiene mentale devono adottare i mezzi meno restrittivi ed usare i metodi meno coercitivi possibile e per il minor tempo possibile.
Per evitare i trattamenti forzati vogliamo determinare cosa ci succede durante una crisi attraverso l’utilizzo di prevenzione pianificata o piani per gestire le crisi.

Vogliamo avere il potere di scegliere i servizi che preferiamo e di cambiare quelli che non ci stanno aiutando!

I centri d’igiene mentale dovrebbero offrire la maggiore autonomia possibile e la maggiore scelta possibile a chi soffre riguardo ai trattamenti e al sostegno di cui si abbisogna per recuperarsi.
I servizi dovrebbero coinvolgere gli utenti dei servizi stessi in tutte le decisioni prese all’interno del servizio e che possono influenzare le loro vite. Le decisione dovrebbero essere prese insieme e gli utenti non dovrebbero essere considerati al di sotto del personale dei centri d’igiene mentale.
Se non siamo contenti di un servizio, è necessario un processo agile e veloce per poter sporgere denuncia ed assicurare che migliorerà, in futuro.

Vogliamo le capacità e le risorse per portare avanti i nostri servizi e altre opportunità per mettere a frutto le nostre competenze.

Come individui abbiamo bisogno di prendere parte attiva nelle decisioni riguardanti cure e sostegni vari. Come collettività dobbiamo essere coinvolti nella pianificazione e nella valutazione dei servizi, a qualunque livello.
I governi devono supportare il movimento degli utenti psichiatrici a sviluppare reti di sostegno e servizi gestiti da utenti. Non dovrebbero esserci ostacoli per le persone con problemi psichiatrici a lavorare negli stessi servizi di salute mentale.

Vogliamo una via d’uscita dai servizi d’igiene mentale.

I servizi di igiene mentale non dovrebbero mai cercare di sostituire le comunità “naturali”- stanno lì per esercitare competenze specialistiche e ruoli che il resto della comunità non ha voglia o non è capace di mettere in atto. La gente con problemi mentali ha bisogno di capacità specifiche ed incoraggiamento per diminuire la propria dipendenza dai servizi d’igiene mentale.
Bisogna che i servizi assicurino il diritto all’informazione per quanto concerne cure e trattamenti vari,  salute e malattia mentale, piani anti-crisi e loro prevenzione, mantenimento di uno stile di vita sano, lotta contro la discriminazione, diritti e auto-difesa legale, utilizzo di reti di supporto e delle risorse della comunità.

Comunità che ci hanno accolti

Le comunità, con il supporto dello Stato, potrebbero essere molto più attive nell’assicurare il rispetto dei diritti ed il benessere delle persone con disturbi psichiatrici.

Vogliamo gli stessi diritti e le stesse responsabilità degli altri cittadini.

La gente con problemi psichici/psichiatrici ha bisogno che sia la legge a proteggere i suoi diritti.
I governi devono assicurare che ci siano pari opportunità tra noi e gli altri cittadini.
Nessun paese può negarci istruzione, lavoro, supporto d’accoglienza, prodotti e servizi, alloggio o la possibilità di far parte di un vicinato o di una famiglia. Famiglie, comunità, aziende sanitarie o che si occupano di benessere devono sostenerci, oppure, almeno, assicurarci che non faranno nulla per impedire la nostra partecipazione alla comunità di cui facciamo parte. Le persone, nelle nostre comunità, le cui vite e decisioni hanno un impatto sulle nostre, devono agire nei confronti delle persone con problemi psichiatrici con uno spirito di rispetto, uguaglianza ed accoglienza.

Vogliamo accesso paritario a istruzione e lavoro.

Sapere che abbiamo dei problemi mentali non deve fungere da deterrente per datori di lavoro o insegnanti nell’assumerci, ad esempio, se siamo qualificati per quel lavoro.
Sia che ci troviamo a studiare piuttosto che a lavorare, abbiamo bisogno di accorgimenti ragionevoli, come un orario flessibile o una supervisione addizionale o ancora un sostegno. Se possibile, i governi dovrebbero ricompensare insegnanti ed impiegati, nel caso debbano usare risorse extra per rendere la sistemazione adeguata alla persona con disturbi.

Vogliamo uno stipendio adeguato.

Il lavoro è la migliore strada per assicurare un adeguato stipendio, ma se questo non è possibile, i governi devono provvedere ad uno stipendio sufficiente a coprire i bisogni umani basilari e qualunque altro bisogno dovuto alle problematiche del paziente psichiatrico.
In certi paesi la pensione (d’invalidità) da parte del governo agisce come un disincentivo al lavoro di queste persone che temono di perdere questa pensione rimettendosi a lavorare oppure di non ricevere alcuno stipendio lavorando. Bisogna che i governi trovino soluzioni creative a questo problema.

Vogliamo alloggi adeguati.

Vogliamo vivere in un posto che possiamo chiamare casa.

Non in ospedali, non per strada. Vogliamo case che siano confortevoli, che ci proteggano dal freddo. Vogliamo scegliere dove vivere senza la paura di obiezioni o ostilità da parte dei vicini.

Vogliamo essere parte di una famiglia.

La gente che ha problemi psichiatrici vuole potersi fare degli amici e goderne il sostegno, stabilire relazioni e diventare genitori senza la paura di perdere la custodia dei propri bambini.

RIASSUMENDO…

Chiunque di noi abbia problemi psichiatrici, in tutti gli angoli del mondo, nella capanna degli attrezzi o nella veranda sul retro delle proprie comunità…
In tempi recenti abbiamo cominciato a bussare alla porta delle nostre comunità chiedendo che sia aperta anche a noi.

I governi ed i servizi di salute mentale devono rendersi conto della spinosa verità: la cosiddetta “cura” dei malati psichiatrici spesso supporta pratiche di pietismo, coercizione, discriminazione ed esclusione. Nel momento in cui Stati, Servizi d’igiene mentale e Comunità sono entrati a far parte del 21esimo secolo i loro tentativi di “ripensare la cura” dovrebbero fare a meno di questo genere di pratiche sopraelencate.
Al contrario, “la cura” dovrebbe essere concepita come lo stare accanto alle persone con disagio, per assisterle, secondo il nostro modo di pensare, aprendo la porta della libertà, accolti, finalmente, in un luogo degno all’interno della comunità.


[1] n.d.t. Nel testo originale “persone con disabilità psichiatriche”: l’autrice utilizza sempre questo termine per definire gli utenti psichiatrici. Io ho usato alternativamente termini quali “utenti psichiatrici” o “persone con problemi/disturbi psichici/psichiatrici”. Ho trovato questa scelta terminologica più consona al messaggio che il testo stesso si prefigge.



Questo brano è stato presentato da Mary O’Hagan, quale rappresentante Wnusp, al congresso mondiale di operatori e psichiatri di Oslo 2001 “Rethinking Care” [Ripensare le cure”]. Un file con tutti gli interventi a tale Congresso, compreso questo di Mary, è reperibile ad es. a
http://www.leeds.ac.uk/disability-studies/archiveuk/WHO/rcpapers.pdf

Questo testo è stato esposto nel sito Wnusp www.wnusp.net  dal 2001 al 2008 quale uno dei “position paper”  del WNUSP:
Mary O.Hagan è sopravvissuta neozelandese alla psichiatria e membro della direzione del Wnusp. Ha un suo sito web personale a
http://www.maryohagan.com/
Il WNUSP ”Rete Mondiale di (ex-)Utenti e Sopravvissuti alla Psichiatria” è a, www.wnusp.net.
Traduzione a cura di Paola Cassano.


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www.nopazzia.it 20 mar 2009